Lukashenko attacca gli operai e difende la polizia. L’Ikea spunta tra i mediatore

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Ieri Lukashenko si è recato a Grodno, sul confine orientale con la Polonia. Una visita intesa a dare la scossa ai suoi sostenitori in una regione dove spira forte un sentimento filo-polacco e dove gli scioperi restano massicci. Secondo il presidente bielorusso sul suo territorio sarebbe in corso una «rivoluzione arancione» organizzata dalla Lituania e dalla Polonia con il sostegno Usa. Sono loro i nemici di giornata, quanto lo erano i russi prima delle elezioni e i tedeschi qualche giorno fa.
«Gli istigatori delle rivolte non siete voi bielorussi, è gente di Varsavia, di Vilnius. Identificheremo accuratamente tutti i provocatori, abbiamo tutte le loro liste» ha dichiarato durante il comizio. Ha poi difeso le squadre antisommossa e promesso loro l’impunità per le violenze e le torture delle scorse settimane: «La polizia è la nostra gente. Anche se hanno sbagliato in qualche caso , perdoniamoli». Ma soprattutto ha parlato di fabbriche, il vero punto dolente del tentativo restaurazionista in corso.
Il lider maximo di Minsk ha annunciato una vera e propria serrata per lunedì nei confronti delle aziende dove ci si ostina a scioperare. «C’è chi non vuole lavorare, ma scioperare…Se qualcuno non vuole lavorare, non possiamo forzarlo. Non li forzeremo e non li persuaderemo: il paese sopravviverà. Ma, se l’impresa non funzionerì da lunedì serreremo i cancelli, ci fermeremo». Un’arroganza da ottecentesco padrone delle ferriere condita dalla minaccia di licenziamenti politici di massa: «Queste persone si tranquillizzeranno, più tardi vedremo chi invitare a tornare in impresa e chi no» ha sostenuto «Sasha» tra gli applausi. Una flessione di muscoli che è anche segno di debolezza: alcune fabbriche a Minsk come la Mes e la Mtkz continuano a resistere come anche i minatori di Salihorsk e in generale il malcontento delle tute blu non sembra placato.
In questo quadro sono al lavoro i «pontieri» per una soluzione di medio termine. L’ex candidato Valery Tsepkalo fuggito all’estero poco prima delle elezioni da Varsavia sostiene che «l’opposizione non avrebbe raggiunto l’obbiettivo di dare una spallata al regime». Secondo l’oppositore la Bielorussia del futuro dovrà mantenere buone relazioni con la Russia nella sfera economica e sociale ma la presenza militare russa dovrebbe essere anche se non immediatamente, rimessa in discussione, per far posto al neutralismo. «L’assenza di frontiere è un vantaggio colossale così come la possibilità di accesso per le merci bielorusse al mercato russo senza quei rigidi requisiti che esistono nella Ue» ha dichiarato Zerkalo.
Tuttavia si tratta di un’ipotesi da botte russa piena con moglie ubriaca che fa l’occhiolino alla Nato che non può piacere a Mosca. Dietro di lui, secondo gli insider di Minsk, non si muoverebbe solo Varsavia ma la potente multinazionale Ikea: la Bielorussia è per due terzi ricoperta di foreste che potrebbero essere sfruttate per i mobili svedesi. A patto naturalmente che ci sia stabilità e pace sociale.
* Fonte: Yurii Colombo, il manifesto

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