Brasile. Le lunghe mani di Bolsonaro sui Big data

Brasile. Le lunghe mani di Bolsonaro sui Big data

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Per anni, la più grande democrazia dell’America Latina è stata leader nella gestione dei dati. Nel 1995, con Fernando Cardoso presidente, il Brasile inaugurava l’Internet Steering Committee, un comitato di enti pubblici e privati che già allora si apprestava a tracciare delle linee guida per governare il digitale.

Nel 2014, in seguito alle rivelazioni di Edward Snowden sui programmi di sorveglianza americana, il governo di Dilma Rousseff rispondeva con il Marco Civil, un apparato politico-legislativo per una gestione democratica e trasparente del web. Più fortunato della proposta della cancelliera tedesca Merkel, che propose invece di limitare internet ai confini europei, il Marco aprì la strada alle prime carte dei diritti del digitale.

E neanche quattro anni dopo le vicende di WikiLeaks, il congresso brasiliano faceva approvare la Legge di Protezione dei Dati: «Un documento da cui il Gdpr europeo chiaramente prende ispirazione», scriveva la Commissione.

Ma sovranismo e questioni digitali, come si sa, vanno di pari passo: la svolta autoritaria di Bolsonaro non ha riguardato solo l’espressione territoriale del suo potere, ma anche l’infrastruttura che regola il rapporto tra governance e tecnologia.

Nell’ottobre 2019, Bolsonaro ha firmato un decreto che obbliga tutti gli organi federali a condividere la maggior parte dei dati in loro possesso sui cittadini brasiliani, dalle cartelle cliniche alle informazioni biometriche, dal numero di previdenza sociale allo scan della retina, per aggregarli poi in un database unico, il Cadastro Base do Cidadão (Registro di base dei cittadini).

Per molte ong brasiliane, l’allarme sorveglianza è concreto, e nonostante la posizione filo-negazionista di Bolsonaro, la risposta al Covid-19 permetterà di raccogliere anche sequenze genetiche e spostamenti. Secondo il segretario del ministro dell’Economia Monteiro, l’obiettivo è quello di facilitare l’accesso dei brasiliani ai servizi governativi tagliando costi e burocrazia.

Riducendo le barriere al flusso di dati, il governo spera di incrementare quantità e consistenza delle informazioni che già detiene, per ottimizzare la gestione della cosa pubblica: in un paese di circa 210 milioni di abitanti, ciò significa accelerare la distribuzione di servizi di welfare, creare una rete amministrativa più capillare, produrre beni comuni su misura di cittadine e cittadini.

Eppure, gli esperimenti di digitalizzazione dei sistemi di welfare e di pubblica amministrazione spesso non hanno avuto risultati positivi. Anzi, dal Regno unito alla Danimarca, hanno confermato che, nonostante i seri rischi sociali e legali, senza dati non si fa politica, e senza digitale non si amministra.

D’accordo o meno con questa visione, Francesca Bria ha più volte ripetuto che una forma di democrazia dei dati è possibile, se sono i cittadini ad esserne sovrani. La studiosa Katherine Pistor ha scritto invece che la sovranità nazionale è destinata a misurarsi sempre più in termini di controllo sui dati, fino a un completo abbandono dell’amministrazione territoriale.

Per ora, Bolsonaro è interessato a entrambi i lati della medaglia. Dopo aver bruciato ettari di foresta amazzonica per mostrare il suo potere alle comunità indigene e ai governi federali, il presidente brasiliano ribadisce il suo ruolo tramite la tecnologia, che ha già sfruttato a pieno nella scorsa campagna elettorale. «Disparo em massa», sparatoria di massa, è la strategia che molte compagnie di consulenza hanno offerto al presidente, come ha rivelato un’inchiesta del Guardian.

Attuando una vera e propria “guerra psicologica”, per citare lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica, la campagna di Bolsonaro ha bombardato di fake news WhatsApp e altri media, raggiungendo online il 65% degli elettori e spingendo il 47% dei brasiliani a sostenerlo alle urne. Strategie trumpiane che hanno spinto il presidente brasiliano ad avvalersi anche dei consigli del quasi decaduto Bannon

A giugno, l’Intelligence brasiliana ha sfruttato il Cadastro per chiedere alle banche dati statali i dati dei 76 milioni di cittadini brasiliani titolari di patente di guida. Altre informazioni potrebbero iniziare a comparire in banche dati pubbliche o private senza autorizzazione; o peggio ancora, le pulsioni securitarie di Bolsonaro potrebbero implementare sistemi più rigidi di sorveglianza e controllo. Il programma di protezione dati in Brasile è ancora in fase di rodaggio, e non è chiaro come risponderà alle manovre del Cadastro.

Quel che è certo è che il Brasile, come altri paesi, ha aumentato l’uso della tecnologia per sorvegliare i suoi cittadini: le reti di telecamere installate per i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016 sono rimaste in funzione; le forze di polizia usano software per il riconoscimento facciale per controllare le folle durante il carnevale; e telecamere e sensori sono stati installati al confine con il Paraguay per sorvegliare migranti e trafficanti.

Il rischio, secondo Human Rights Watch, è che in Brasile il riconoscimento facciale andrà a colpire maggiormente gli afrobrasiliani, che rappresentano metà della popolazione più povera e disoccupata, a causa degli ormai noti ‘bias’ razziali di molti software. Forte di un elevato tasso di omicidi, Bolsonaro è sicuro di poter barattare la privacy dei cittadini brasiliani con una presunta maggiore sicurezza.

* Fonte: Tommaso Grossi, il manifesto



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