L’omicidio Khashoggi e i dittatori buoni
Ci sono dittatori buoni e dittatori cattivi e noi, popoli etero-diretti ed etero-determinati, come spiegava ieri Tommaso Di Francesco sul manifesto, sappiamo bene come fare la lista. Cinque persone senza nome sono state condannate a 20 anni di prigione a Riad per l’omicidio del giornalista dissidente saudita Jamal Khashoggi, torturato e fatto a pezzi il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul. Un processo farsa del principe Mohammed bin Salman mandante dell’assassinio, al quale Usa e Occidente vendono armi a tutto spiano e stringono la mano sorridenti.
I dittatori buoni – è semplice – sono quelli che ci pagano. Della nostra ipocrisia e insipienza diamo prova ogni giorno. Certo tutti vorremmo sapere come e da chi è stato avvelenato Navalny e che fine ha fatto Maria Kolesnikova, l’ultima leader anti-Lukashenko. L’Occidente e l’Europa sono già pronti a cadere nella trappola e a mettere sanzioni a Mosca e a Minsk, regimi opachi e autocratici.
Sulla nostra stampa è un coro di peana contro le dittature. Ma non si legge mai un articolo che si proponga di sanzionare l’Arabia saudita, Paese che vìola sistematicamente i diritti umani, o gli Emirati arabi uniti che con Riad hanno portato la guerra in Yemen uccidendo migliaia di persone con i loro caccia acquistati dagli Usa e armati da bombe micidiali di marca tedesca fabbricate in Sardegna.
Anzi i monarchi assoluti di questi Paesi, dove quando vai a lavorare ti ritirano subito il passaporto per farti capire che non solo ti pagano profumatamente ma posseggono anche la tua vita, vengono adulati e coccolati. Sono pieni di petrolio e i loro miliardi viaggiano per il mondo, oltre che per acquistare armamenti e razzi spaziali, per sponsorizzare mostre e fiere d’arte: comprano la nostra cultura pur di avere una buona stampa. I sauditi hanno regalato agli Emirati per 450 milioni di dollari il Salvator Mundi di Leonardo, opera di assai dubbia attribuzione che doveva essere esposta in pompa magna al Louvre di Abu Dhabi. Pare che da qualche tempo sia sparito, forse per intervento di Macron avvertito che stavano per screditare anche il Louvre.
Gli Emirati si sono comprati pure l’isola di Socotra, hanno saccheggiato il patrimonio archeologico dello Yemen e lo mettono in mostra come prova delle antiche origini della loro civilizzazione. Per di più a Socotra, rimasta intatta per secoli, ci vogliono portare i loro nuovi amici, gli israeliani, per insediare una base militare e sorvegliare i cieli e i mari dell’Oceano.
Queste monarchie sanguinarie e anti-democratiche sono adesso i nostri migliori amici anche perché hanno fatto o si preparano a fare la pace con Israele e a costituire con l’Egitto un’alleanza tra Stato ebraico e arabi che deve mettere ordine in Medio Oriente. Una sorta di Nato araba che deve tenere a bada l’Iran degli ayatollah e la Turchia di Erdogan che infastidiscono assai i padroni del vapore. Loro, i nostri cari monarchi assoluti, ci mettono i soldi, gli americani e gli israeliani la tecnologia e l’intelligence, gli egiziani la carne da cannone per le truppe. E noi europei e italiani vendiamo la nostra quota di armamenti facendo pure finta di lodare i risultati dell’industria aerospaziale degli Emirati, che mandano razzi nello spazio, ma dove a terra non si trova neppure un meccanico d’automobile.
Insomma balle spaziali cui diamo credito perché, come al solito, ci pagano.
Ma i veleni corrono anche dalle loro parti, non soltanto in Siberia. Il notiziario online Middle East Eye ci informa che il figlio dell’ex presidente Morsi, abbattuto nel 2013 dal generale al-Sisi con un golpe sanguinoso, è stato avvelenato. Abdullah Morsi, 25 anni è deceduto il 4 settembre 2019 in un ospedale del Cairo a Giza: ufficialmente per un attacco di cuore, in realtà perché gli è stata iniettata una dose di veleno. Ma nessuno chiederà il conto di questo omicidio ad al-Sisi, i cui poliziotti hanno torturato e ucciso Giulio Regeni insieme a migliaia di oppositori egiziani. Morsi era uno dei capi dei Fratelli Musulmani detestati dalle monarchie del Golfo che a loro volta pagano l’Egitto, gli comprano armi e tengono in piedi le finanze del Cairo. E poi pagano anche noi per stare zitti. Ecco con che gente stiamo e chi siamo.
* Fonte: Alberto Negri, il manifesto
Related Articles
Tsipras: Non rispettano la democrazia e ci accusano di golpismo
Grecia. L’appello televisivo del premier greco. No non significa rottura con l’Europa, ma ritorno all’Europa dei valori
Siria: il pugno di ferro dei Bashar sulla rivolta
Carro armato a Hama – Foto: © crimenews.it
Il giorno del mio arrivo in Siria, durante il tragitto che conduce dall’aeroporto di Damasco al centro della città , conobbi il Presidente Bashar el Asad. Non di persona, naturalmente. Imparai a riconoscerne il volto, presente praticamente ovunque nei luoghi pubblici della capitale siriana. Dalle piazze, ai bar, agli uffici governativi, l’immagine a mezzobusto del Presidente è una costante. La più singolare che mi capitò di vedere era stampata a colori sulle tendine parasole di una Nissan grigio metallizzato parcheggiata lungo le mura della città vecchia. Petto in fuori e divisa militare, sorriso e sguardo fiero, l’immagine di Asad sembrava controllare, attraverso l’abitacolo, ogni spostamento nelle sue vicinanze.
La follia della guerra negli occhi dei bambini siriani