In Russia giornalista si dà fuoco contro la repressione: «Della mia morte incolpate la Federazione»

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MOSCA. «Della mia morte vi chiedo di incolpare la Federazione russa». Questo il breve addio pubblicato sulla sua pagina di Facebook ieri pomeriggio da Irina Slavina prima di cospargersi di benzina e di darsi fuoco davanti agli uffici del ministero degli Interni di Nizny Novgorod, città di mezzo milioni di abitanti a 400 chilometri a est da Mosca. Lascia il marito e una figlia. Il suo gesto estremo di protesta fa tornare alla mente quello dello studente cecoslovacco Jan Palach che si diede fuoco nel 1969 per protestare contro la dittatura burocratica e l’occupazione sovietica.

Irina era direttrice della rivista online di opposizione Koza.press e da tempo era sotto pressione da parte della polizia locale. Quando i soccorsi sono arrivati, a seguito della richiesta di spegnere un incendio, del suo povero corpo non era  rimasta che un’informe massa carbonizzata. Evidente risulta l’imbarazzo delle autorità che non hanno ancora emesso alcun comunicato sulla tragedia.

La giornalista era molto nota in città per le sue inchieste sui potentati locali e per il suo attivismo politico nel campo dell’opposizione liberale. Non c’era manifestazione e picchetto di protesta che non vedesse la sua presenza e spesso era stata fermata dalle forze dell’ordine. L’altro ieri mattina Slavina aveva subito una perquisizione a seguito di un’inchiesta aperta dalla magistratura sulle attività di un gruppo giovanile iconoclasta e anticlericale denominata Tempio del Mostro dei Maccheroni Volanti.

Lo aveva subito denunciato su internet: «Oggi alle 6:00 12 persone della polizia sono entrate nel mio appartamento usando una fresa a gas e un piede di porco… È stata effettuata la perquisizione. Non mi  è stato dato il permesso di chiamare. Stavano cercando opuscoli, volantini… Ma hanno preso quello che hanno trovato – tutte le unità flash, il mio laptop, il laptop della figlia, il computer, i telefoni – non solo il mio, ma anche quello di mio marito – un mucchio di taccuini su cui scarabocchio durante le conferenze stampa. Sono rimasto senza mezzi di produzione…».

Lo stesso giorno era stata perquisita anche la sede locale del partito Yabloko e di quello di Alexey Navalny. I familiari e le persone a lei più vicine confermano che la pressione degli organi di sicurezza, in particolare dopo l’avvelenamento di Navalny, su di lei era diventata da tempo molto intensa.

Nell’estate del 2019, Slavina era stata pesantemente multata per aver partecipato a delle manifestazioni e aveva ricevuto anche avvertimenti in stile mafioso quando gli erano state squartati  gli pneumatici dell’auto, seguite poi da telefonate anonime le “consigliavano” di lasciar perdere la sua attività di denuncia giornalistica soprattutto in relazione alla sua opposizione all’intervento russo nella guerra civile siriana.

La pubblicista era anche in prima fila nel denunciare il ritorno della nostalgia per l’epoca staliniana e si era battuta contro la posa di una targa nella città di Shakhunya, non lontano da Nizny, di una targa commemorativa in memoria di Josif Stalin. Una attività giornalistica che faceva in ristrettezze, basandosi essenzialmente sul proprio entusiasmo e sete di informazione libera. Aveva ringraziato così due avvocati che avevano finanziato la sua denuncia del risorgente stalinismo: «Devo scrivere le notizie, fare la fotografa, l’imputata in tribunale, compilare le dichiarazioni  fiscali. Cioè fare tutto da me». Sono passate solo poche ore dopo la sua morte ma in tutto il paese è attraversato da un’onda di emozione, per il suo tragico gesto di protesta.

E a Nizny Novgorod nei pressi della fermata della metropolitana dove la donna si è data fuoco, amici ma anche cittadini qualunque stanno lasciando garofani rossi. Una signora soffermandosi dice scuotendo la testa: «C’è veramente qualcosa che non va in questo paese se una giornalista non può far altro che suicidarsi…»

* Fonte: Yurii Colombo, il manifesto



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