Il carcere rimosso, dove si continua a morire

by redazione | 3 Novembre 2020 16:20

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Nei giorni scorsi, il numero dei suicidi nelle carceri campane è arrivato a nove. Nove casi (sei nel 2019) che impongono una riflessione profonda su quello che succede nei nostri istituti di pena. Ciò è avvenuto con la morte di Salvatore L., un detenuto di 22 anni che lo scorso martedì 20 ottobre si è impiccato nel carcere di Benevento.

Salvatore era napoletano, e da Brindisi era stato trasferito a Benevento dove era arrivato per un’udienza. Condivideva la cella con un’altra persona. Alle 15.00 del 20 ottobre aveva parlato al telefono con la sua compagna, poi il gesto estremo.

Sullo sfondo di questi episodi possiamo immaginare disperazione, lo stato d’animo di chi sente di non avere via d’uscita. “Non conosciamo il corto circuito che porta a queste tragedie – commentano Samuele Ciambriello e Pietro Ioia, garanti regionale e del comune di Napoli rispettivamente – il carcere è stato rimosso, è diventato una discarica sociale che ospita detenzione sociale”. Quel che si sa è che tali episodi, almeno in Campania, riguardano nella maggior parte dei casi, giovani entrati in carcere per reati non gravi, finiti in celle di pochi metri quadrati da condividere con altri detenuti. Poi, chissà, il senso di impotenza, la convinzione crescente di essersi bruciati in modo definitivo prevalgono sulla capacità di elaborare il proprio errore, il proprio vissuto personale, la possibilità di venirne fuori.

“In carcere e di carcere si muore”, denunciano i garanti i quali puntano il dito sull’assenza dello Stato negli istituti di pena; una situazione pesante per tutta la popolazione carceraria, per chi è detenuto e per chi ci lavora, come dimostra anche la casistica considerevole riguardante i suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria. Le carceri sono abbandonate a sé stesse, secondo Riccardo Polidoro, responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane, quella dello Stato è “un’assenza storica che ha le sue radici nella voluta ignoranza dei cittadini, disinformati e disinteressati. Una volontà politica che travolge i mass media che del carcere non si occupano e, se lo fanno, inducono a far ritenere che problemi non ce ne sono”. Una situazione, questa, resa ancora più complicata dal bieco giustizialismo di certa parte politica che cerca consensi scavando nello stomaco profondo dell’opinione pubblica tirandone fuori paure cui risponde con semplificazioni atroci. Così il carcere diventa non il luogo del recupero previsto dall’Articolo 27 della Costituzione, ma quello della discarica sociale e della disperazione, appunto.

Così, in occasione della Conferenza dei Garanti Territoriali delle persone private della libertà svoltasi a Napoli il 9 e 10 ottobre scorsi, si è parlato della necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto a questo argomento per combattere la disinformazione e attivare un canale comunicativo tra il mondo di fuori e il mondo di dentro. I nostri istituti di pena soffrono di diversi mali, di carenze strutturali e di personale, di sovraffollamento, realtà quest’ultima sempre menzionata nell’ambito della complessa tematica carceraria. Un problema concreto e riconosciuto dagli addetti pur con la precisazione del Presidente dell’Autorità Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma, secondo il quale le problematiche esistenti in tale ambito sono “più di carattere qualitativo che quantitativo e non prevalentemente di sovraffollamento”.

Ciambriello e Ioia chiedono a gran voce che venga fatta chiarezza su questa recente morte a Benevento e sostengono che ci vogliono più figure sociali nelle carceri, più attività trattamentali, più attività di rieducazione senza le quali non si può parlare di una prospettiva di reinserimento sociale. Intanto la casistica nazionale del fenomeno descritto in questa sede è salita a 49 episodi dall’inizio dell’anno con l’ancora più recente suicidio di un detenuto di 35 anni che si è impiccato con una felpa nel carcere romano di Regina Coeli. Questo nuovo tragico avvenimento non fa che confermare l’urgenza di cambiamenti necessari per restituire dignità e speranza a chi sta pagando il suo debito con la giustizia.

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