Venti di guerra. Mike Pompeo corre in Medio oriente, nel mirino c’è l’Iran

Venti di guerra. Mike Pompeo corre in Medio oriente, nel mirino c’è l’Iran

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GERUSALEMME. Sarà un incontro a tre con il premier Netanyahu e il ministro degli esteri del Bahrain Abdul Latif bin Rashid Al Zayani, ad aprire oggi il primo giorno della missione di Mike Pompeo in Israele e nella regione. L’ultima e forse la più inquietante del segretario di Stato uscente in Medio oriente. Nella sua agenda c’è anche una visita senza precedenti per un capo della diplomazia statunitense in una colonia israeliana (Psagot), nella Cisgiordania occupata, già condannata dai palestinesi. Poi andrà dagli alleati sauditi, ad Abu Dhabi e in Qatar sulla scorta del recente Accordo di Abramo, la normalizzazione promossa dagli Usa delle relazioni tra tre Paesi arabi (Emirati, Bahrain e Sudan) e Israele. Pompeo stavolta non ha in mano un nuovo accordo tra arabi e lo Stato ebraico. Riyadh va in quella direzione ma dopo la sconfitta di Donald Trump ha deciso di aspettare le mosse della futura Amministrazione Biden. Invece Doha, pur essendo un’alleata di ferro di Washington ed abbia da anni rapporti dietro le quinte con Tel Aviv, ha fatto sapere che il suo impegno resta rivolto alla fine dell’occupazione militare israeliana dei territori palestinesi.

Il suo programma ufficiale non lo dice ma Pompeo in Medio oriente ci torna per l’Iran. Con israeliani e sauditi, perno dell’ordine mediorientale disegnato da Trump e il suo entourage, discuterà di ulteriori sanzioni contro Tehran e di possibili operazioni militari. L’indiscrezione che gira da giorni su un «ultimo regalo» a Netanyahu e ai sauditi, l’attacco militare all’Iran, ha trovato conferma in una nuova importante rivelazione, nel giro di pochi giorni, del New York Times a proposito delle mosse di Usa e Israele contro e dentro l’Iran. La scorsa settimana, riferisce il quotidiano, Trump ha chiesto ai suoi più stretti collaboratori riuniti nello Studio Ovale – tra i quali Pompeo, il vicepresidente Mike Pence e il segretario alla difesa ad interim Christopher Miller – di illustrare le opzioni per un attacco contro Natanz, principale sito nucleare dell’Iran, nell’arco delle prossime settimane. Pretesto per l’operazione militare è la segnalazione da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) di un marcato aumento delle riserve iraniane di materiale fissile a Natanz, seguito all’abbandono dell’accordo internazionale sul nucleare del 2015 fatto dall’amministrazione Usa. Trump però è stato dissuaso. Gli hanno spiegato che la distruzione di Natanz scatenerebbe un vasto conflitto regionale.

 

Non è chiaro se Trump abbia discusso di un attacco missilistico o informatico. In ogni caso ieri l’Iran ha avvertito che un’offensiva militare americana o di un altro paese riceverà una «risposta schiacciante». Commentando l’articolo del New York Times, il portavoce del governo iraniano, Ali Rabiei, ha sottolineato il livello meramente psicologico delle minacce lanciate dagli Usa e Israele. Gli avversari dell’Iran, ha detto, sanno che un attacco avrebbe per loro conseguenze devastanti. Tehran farebbe bene a non darlo per scontato. Israel Radar, un sito di intelligence, qualche giorno fa riferiva che l’aviazione israeliana ha tenuto sessioni di addestramento notturno per preparare i suoi piloti a bombardare obiettivi a lunga distanza. Circolano inoltre voci di un attacco Usa che prenderà di mira in Iraq organizzazioni alleate dell’Iran.

 

Netanyahu nel frattempo pur mostrandosi riconoscente al suo alleato Trump, ieri ha avuto un colloquio telefonico con Joe Biden che ha definito «presidente eletto». Lunedì si era riferito a Biden come colui che dovrebbe «essere nominato prossimo presidente».

 

 

 

 

 

* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto

 

 

ph by U.S. Embassy Tel Aviv, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons



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