Istat. Italia, un paese sempre più anziano e diseguale

by il manifesto | 16 Dicembre 2020 9:29

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Sempre più attempata e diseguale, un po’ più istruita ma al di sotto della media europea, mentre cresce il numero dei cittadini stranieri. È questo il ritratto dell’Italia emerso dal censimento permanente della popolazione diffusi ieri dall’Istat. Il numero di anziani per bambino è passato da meno di uno nel 1951 a 5 nel 2019. Era 3,8 nel 2011. L’indice di vecchiaia tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni, è notevolmente aumentato dal 33,5% del 1951 a quasi il 180% del 2019 (148,7% nel 2001).
Tutte le classi di età sotto i 44 anni hanno visto diminuire il proprio peso relativo rispetto al 2011 mentre sono aumentate molto le persone dai 45 anni in su che passano dal 48,2% del 2011 al 53,5% del 2019. L’età media si è innalzata di due anni rispetto al 2011 da 43 a 45 anni. La Campania, con 42 anni, è la regione con la popolazione più giovane, la Liguria quella più vecchia. Nell’analisi fatta sui dati del censimento Questi dati sono stati proporzionati alla tendenza riscontrata nella popolazione considerata «straniera», senza cittadinanza, residente in Italia.

Il rapporto indica un «rallentamento del processo di invecchiamento della popolazione residente». Infatti l’età media degli stranieri è più bassa di 11,5 anni rispetto a quella degli «italiani»: 34,7 anni contro 46,2 anni nel 2019. Anche il numero di persone che raggiungono l’età da lavoro è superiore rispetto a coloro che stanno per ritirarsi dal lavoro. Rispetto al 2018 nel 2019 il totale dei residenti è calato di circa 175 mila persone: 59.641.488 milioni. Un numero più alto rispetto al 2011, ultimo anno del censimento tradizionale, quando si contarono 59.433.744 residenti (+207.744). Sono aumentate le persone residenti senza cittadinanza. Per la prima volta hanno superato il tetto dei 5 milioni. Vivono di più nelle regioni del Nord dove si sono dirette anche le oltre 400 mila persone emigrate dal Sud dal 2011 al 2019. Qui si registrano quote di occupati superiori alla media nazionale (45,6%). Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia variano tra il 51,7% e il 51%.

Questi sono in dettaglio i dati. Nell’ultimo anno la popolazione è diminuita di 127.487 unità nel Sud e nelle Isole rispetto al 2018 e di 425.517 rispetto al 2011 a fronte di un aumento della popolazione complessiva. Mentre la Lombardia, ad esempio, ha acquistato 323.451 residenti in più, il Lazio 252.814 e l’Emilia Romagna 121.984, la Puglia ha perso quasi 100 mila abitanti , la Sicilia 127.614, la Campania 54.667, la Calabria 64.940. Il livello sarebbe ancora più alto se si guardasse alla popolazione non straniera con la Sicilia che perde dal 2011 quasi 200 mila italiani e acquista oltre 50 mila stranieri.

La struttura per genere della popolazione residente si caratterizza per una maggiore presenza della componente femminile. Il maggior peso della componente femminile, dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione e alla maggiore speranza di vita delle donne, fa sì che in Italia ci siano 95 uomini ogni 100 donne.

Il censimento ha evidenziato importanti differenze territoriali anche sull’istruzione e le qualifiche professionali: il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo, con il 43,2%, è sopra la media nazionale (35,6%) mentre la Sardegna è ultima (30,3%). La quota di laureati o diplomati Af.a.m. è più alta della media nazionale al Centro (16,0%) e nel Nord-ovest (14,1%). I dottori di ricerca concorrono in tutte le ripartizioni con una incidenza tra lo 0,3% del Meridione e lo 0,6% del Centro. A livello regionale, è il Lazio ad avere la più alta percentuale di laureati (17,9%). La media è tra le più basse d’Europa.

Il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ieri ha provato a fare un bilancio sulla mortalità di un anno funestato dagli oltre 60 mila morti per Covid. «Non è ancora finito il 2020 – ha detto – Una valutazione ragionevole fa pensare che quest’anno supereremo il confine dei 700 mila decessi complessivi. L’ultima volta, in Italia, era accaduto nel 1944 nel pieno della seconda guerra mondiale. Per la natalità è moto probabile che si scenda sotto i 400 mila nati». Nel 2019 il dato era stato di «647 mila morti». «L’effetto Covid è stato di un 40% abbondante in più. InSpagna e Regno Unito, i valori sono intorno al +60%. Sul confronto relativo stiamo male, ma gli altri non è che stiano in maniera così diversa, anzi»

* Fonte: il manifesto[1]

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