La guerra dimenticata del popolo Saharawi, intervista con Kristina Berasain

by Orsola Casagrande | 10 Dicembre 2020 13:05

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Kristina Berasain Tristan, giornalista basca, specializzata in conflitti dimenticati e diritti umani, è stata per anni responsabile della sezione esteri del quotidiano Berria. È una delle poche giornaliste che ha viaggiato alle tre zone in cui è diviso il popolo sahrawi: i territori occupati, i territori liberati e i campi profughi a Tinduf, in Algeria.

Nel 2005 è stata espulsa da questo territorio dove era andata per seguire l’Intifada. Cinque anni dopo è riuscita ad entrare con una delegazione del Comune di Donostia/San Sebastian.

È autrice del documentario ‘Messaggi dal Sahara Occidentale’.

Kristina Berasain ricorda un detto sarhawi che dice “Non parlare con chi non ti ascolterà”. In questo detto è forse contenuta l’odissea di un popolo dimenticato che dal 1975 chiede che sia rispettato il suo diritto all’autodeterminazione.
Cominciamo da una breve storia di quando e come è iniziato il conflitto nel Sahara occidentale…

Dovremmo iniziare dicendo che il Sahara occidentale è stato occupato dal Marocco nel 1975, con quella che a suo tempo venne chiamata la Marcia Verde, che per i Sahrawi è la Marcia Nera. Un’operazione mediatica in cui abbiamo visto civili marocchini ben organizzati entrare nel Sahara occidentale e mentre i media erano concentrati sulla marcia civile, l’esercito marocchino occupava il Sahara occidentale, con la complicità di Madrid e anche degli Stati Uniti. Henry Kissinger, l’allora Segretario di Stato americano, fu complice e partecipò al tradimento della Spagna verso il popolo sahrawi. La Spagna ha da allora una responsabilità storica, legale e morale nei confronti del popolo dell’allora provincia numero 53 della Spagna. Attraverso gli Accordi di Madrid, firmati il ​​14 novembre 1975 quando Franco stava morendo, la Spagna ha ceduto il territorio al Marocco e alla Mauritania, tradendo la parola data agli abitanti del Sahara occidentale, cioè quella di ritirarsi dal territorio dando vita così ad un processo di decolonizzazione. Ad oggi, nessun paese riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale, mentre più di 80 paesi riconoscono la Repubblica Araba Democratica Sahrawi (SADR).

Prima della fondazione della SADR, era il Fronte Polisario ad organizzare la resistenza all’occupazione.

Sì, il Fronte Polisario è stato creato come movimento di liberazione nazionale, ed iniziò la sua lotta già al tempo della colonizzazione spagnola. Quest’anno è stato il 50° anniversario dell’intifada di Zembla, il 17 giugno 1970, dove per la prima volta il popolo sahrawi nella sua capitale, El Aaiún, aveva manifestato in modo pacifico dimostrando la sua coscienza nazionale come popolo. Quella protesta venne repressa dalle autorità spagnole e il suo primo leader, Mohamed Sidi Brahim, fu forzatamente fatto “sparire”, fucilato nel deserto, il primo di una lista di oltre 500 persone “scomparse” negli ultimi 50 anni di occupazione. Quindi il Fronte Polisario guidò la resistenza anticoloniale, prima contro la Spagna e poi contro il Marocco e la Mauritania.

Qual è l’attuale status giuridico del Sahara occidentale?

Il Sahara occidentale continua ad essere un territorio in attesa di decolonizzazione, così viene riconosciuto nelle oltre 100 risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite (ONU) in tutti questi anni. Quelle risoluzioni stabiliscono che la soluzione a questo conflitto, dimenticato e messo a tacere, è la celebrazione di un referendum di autodeterminazione. Un referendum per il quale è stata creata anche una missione speciale dell’Onu, MINURSO. Questa è l’unica missione delle Nazioni Unite che non adempie al compito di garantire il rispetto dei diritti umani. Va detto che l’Onu spende per MINURSO più di 55.000.000 di dollari all’anno. La comunità internazionale spende più di 130.000 euro al giorno per una missione che non fa nulla, né adempie alla sua missione, che è quella di far svolgere il referendum stabilito nell’accordo di pace firmato con il Marocco nel 1991 dopo la sconfitta della Mauritania, e 16 anni ininterrotti di guerra, ma nemmeno supervisiona la violazione dei diritti umani. In effetti, è l’unica missione che non ha competenza nel monitoraggio dei diritti umani.

Nel 1991 c’è stato un accordo di pace e ora la SADR ha dichiarato guerra al Marocco, cosa non ha funzionato in questi 29 anni?

Da allora diciamo che la situazione, lo “status quo”, ha favorito il Marocco, che ha continuato a regolare l’occupazione attraverso un’intensa repressione contro il popolo sahrawi. La repressione è ancora oggi all’ordine del giorno nei territori occupati. Non va dimenticato che la tregua fu firmata quando il Fronte Polisario avanzava e vinceva la guerra. Quindi la strategia del Marocco è stata quella di costruire un muro di separazione, che è il muro militare più lungo che esiste oggi nel mondo, più di 2.700 km. Un muro che divide in due il popolo sahrawi, una parte nei campi profughi e l’altra nei territori occupati. La pazienza ha un limite, i Sahrawi hanno aspettato fin dal 1991 una soluzione pacifica a questo conflitto. Ma poiché l’ONU non ha mantenuto la parola, cioè l’impegno dell’accordo del 1991, che prevedeva lo svolgimento di un referendum in un periodo di sei mesi, hanno deciso di ricominciare la guerra. E non dimentichiamo che l’Onu non sta facendo nulla, e in qualche modo è totalmente complice del Marocco.

Il 13 novembre scorso è scoppiata una nuova guerra. Qual è stata la causa concreta dell’attuale stato di belligeranza dichiarato dal RASD?

Effettivamente il 13 novembre, vigilia dell’anniversario del tradimento degli accordi di Madrid, la SADR ha dichiarato guerra al Marocco. Il motivo è chiaro, la violazione da parte del Marocco dal cessate il fuoco del 1991. Il Marocco è entrato nella zona di Guerguerat, un valico di frontiera e spazio smilitarizzato che il Marocco utilizza per trasferire nel continente africano parte delle risorse naturali saccheggiate e rubate al popolo saharawi, e dove un gruppo di civili sahrawi protestava da tre settimane. E questa è stata una chiara violazione del cessate il fuoco.

Che ruolo dovrebbero svolgere le Nazioni Unite in questa situazione?

Il Marocco ha violato il cessate il fuoco e tutti i rappresentanti speciali delle Nazioni Unite per il Sahara occidentale si sono dimessi. L’ultimo è stato Horst Kölher, ex presidente della Germania. Tutti si sono dimessi di fronte all’incapacità e alla pratica delle Nazioni Unite di non fare nulla in questo conflitto. Dopo le dimissioni di Kölher, più di un anno e mezzo fa, non è stato ancora nemmeno nominato un nuovo rappresentante delle Nazioni Unite per il Sahara occidentale.

In tutti i negoziati che si sono tenuti, il Marocco ha boicottato tutte le proposte e il grande complice del Marocco in tutto questo situazione è la Francia, che come membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite blocca insistentemente qualsiasi iniziativa per risolvere questo conflitto.

Hai fatto riferimento a un conflitto dimenticato e messo a tacere, puoi approfondire più in quel senso?

In effetti, il Sahara occidentale è un territorio su cui è presente un totale blackout informativo. Reporter Senza Frontiere ha recentemente pubblicato un documento con il titolo “The Black Hole”, perché il Sahara occidentale è un buco nero per la stampa. Per i giornalisti è praticamente impossibile entrare nei territori occupati. Io ci ho provato nel 2005 come giornalista e sono stata espulsa, così come i pochi giornalisti che cercano di avvicinarsi. Il Marocco non vuole testimoni di ciò che sta accadendo.

Come valuteresti le reazioni dei Sahrawi su questo ritorno alla lotta armata?

Direi che per i Sahrawi il ritorno in guerra è un momento storico. Tutti i sahrawi con cui ho parlato stanno vivendo questo momento con grande intensità. Anche se può sembrare contraddittorio, per loro tornare in guerra è motivo di gioia.

La terminologia utilizzata fino ad ora: autodeterminazione, referendum, MINURSO… sembra un ricordo del passato. Oggi i Sahrawi hanno ripreso la lotta e sono pronti a tutto, dicono che in questo momento la guerra è per essere liberi o non esserlo. Come dicono, è il momento di patria o morte.

I giovani sembrano avere un ruolo di primo piano in questa scelta difficile.

Le due generazioni di giovani nati come rifugiati nei campi di Tindouf hanno raccolto le testimonianze dei loro genitori, dei loro nonni e hanno ripreso quella lotta come movimento di liberazione nazionale. Sono tornati alle armi per difendere il loro popolo, e dal punto di vista del diritto internazionale viene loro riconosciuto il diritto di utilizzare la lotta armata contro un’occupazione coloniale.

I giovani sahrawi stanno vivendo in una situazione e condizioni molto difficili. Non hanno futuro nei territori occupati perché fin da piccoli i loro diritti sono stati violati, vengono discriminati in tutti gli aspetti della loro vita, non hanno lavoro. Questo è un conflitto in cui chiaramente gli interessi economici sono al di sopra dei diritti gli umani, e in questo senso i giovani sahrawi hanno le idee molto chiare: il modo per lottare per il loro futuro è tornare alle armi, ed è chiaro che combattono per una causa, per la loro identità, per la loro gente, contrariamente ai soldati del Marocco, che combattono per un miserabile stipendio.

Come valuti il ruolo delle donne sahrawi in questo lungo conflitto?

La donna sahrawi sono un esempio di lotta e dignità. In questi giorni sono state le prime ad uscire con le loro canzoni per le strade rivendicando i loro diritti. Durante la guerra e dopo l’occupazione le donne saharawi hanno svolto un ruolo chiave. Mentre gli uomini erano in guerra loro hanno tenuto in piedi i campi profughi, e hanno organizzato tutti i tipi di servizi per poter mantenere l’istruzione, la salute… Questo nei campi profughi, ma nei territori occupati, la lotta delle donne sahrawi è esemplare. Molte donne sono scomparse a causa di quella lotta, sono state imprigionate e oggi molte di loro sono attiviste per i diritti umani, e rappresentano tutte quelle donne che ancora oggi continuano a scendere in piazza con le loro canzoni, con la loro bandiera, con gli elementi della loro identità vietati dall’occupante marocchino. Credo che le donne sahrawi siano un riferimento per tutte le donne del mondo.

Come si può valutare la risposta internazionale alla ripresa della guerra nel Sahara Occidentale?

Ebbene, penso che la preoccupazione principale sia il silenzio che proviene dalla comunità internazionale, a cominciare dal Governo spagnolo che ha quella responsabilità storica, legale e morale di cui parlavo prima. Non abbiamo visto dichiarazioni che recriminino o condannino quello che ha fatto il Marocco a Guerguerat. Di fatto, tutti i governi spagnoli hanno partecipato attivamente al consolidamento dell’occupazione.

Il popolo saharawi non si aspetta più niente dalla Spagna o dalla comunità internazionale, perché sono complici dell’occupazione. Il Marocco fa pressione sullo Stato spagnolo con il tema di Ceuta e Melilla e ancora di più con il tema dell’emigrazione, non è un caso che da quando è stato dichiarata questa guerra il Marocco ha permesso ai migranti di andare alle Isole Canarie. È un modo per fare pressione sulla Spagna.

Come interpretare l’apertura di alcuni consolati nella capitale del Sahara occupato?

In questo momento, è conveniente per il Marocco mantenere lo “status quo” e continuare con la sua pratica espansionistica ecco perché ultimamente ha aperto consolati in alcuni paesi, comprati con soldi, che è quello che ha sempre fatto, e un buon esempio sono in questo senso i politici spagnoli. Quella dei consolati è una strategia ridicola, l’ultimo è stato quella di Haiti, ma anche quello delle Isole

Comore, di Liberia, Gibuti o Gambia. Una cosa che viola chiaramente il diritto internazionale, oltre al fatto che in questi paesi difficilmente ci sono cittadini o interessi quindi non ha senso aprire consolati, salvo per il messaggio politico che il Marocco utilizza per rivendicare la “marocchinità” del Sahara occidentale. Allo stesso tempo e in modo contraddittorio, la Spagna ha appena chiuso il consolato a El Aaiun.

Per finire, che conclusione possiamo trarre dalla ripresa della guerra nel Sahara Occidentale?

Il popolo sahrawi è stanco, ecco perché ha ripreso le armi. Non vuole che continuiamo a mandare loro riso o pasta, o quelle scatolette di tonno che rubiamo dal loro stesso mare e poi mandiamo in forma di donazione ai campi profughi. Il popolo sahrawi vive sotto un’occupazione durissima, con una repressione continua che viola tutti i suoi diritti. Ma nonostante tutto è un popolo dotato di grande determinazione e dignità. Dopo un’occupazione di quasi 50 anni, mantiene la sua identità, la sua cultura e combatte ogni giorno a rischio della propria vita. I Sarhawi stanno semplicemente difendendo ciò che il diritto internazionale riconosce loro, il diritto all’autodeterminazione.

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