«La proprietà privata non è intoccabile, serve giustizia sociale», lo dice il Papa

«La proprietà privata non è intoccabile, serve giustizia sociale», lo dice il Papa

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In un mondo che appare regolato dalle enormi diseguaglianze economiche, occorre costruire una «nuova giustizia sociale, partendo dal presupposto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata» rispetto al valore del bene comune.
In un messaggio inviato ai partecipanti alla video conferenza internazionale dei giudici membri dei comitati per i diritti sociali di Africa e America – che si è conclusa ieri sera dopo due giorni di lavori –, papa Francesco ribadisce uno dei capisaldi della dottrina sociale della Chiesa (la «destinazione universale dei beni»), declinandolo però in termini nuovi e utilizzando una formula impiegata per la prima volta nell’enciclica Fratelli tutti, firmata ad Assisi due mesi fa: «Il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivato dal diritto che hanno tutti, nato dal destino universale dei beni creati».

Un aggiornamento soprattutto lessicale, quindi, che si colloca all’interno di un filone di pensiero inaugurato da Leone XIII con la Rerum novarum a fine Ottocento – e prima ancora dai «padri della Chiesa» del cristianesimo antico –, ma che contiene anche alcuni elementi di novità. Come il fatto di rivolgersi ai giudici, che devono interpretare e applicare la legge. «Non c’è giustizia sociale che possa fondarsi sull’iniquità, che presuppone la concentrazione della ricchezza», ha detto il pontefice, invitando i magistrati «ad acquisire una dimensione più completa della propria missione e della propria responsabilità sociale».

Pertanto, ha aggiunto, «nessuna sentenza può essere giusta, né può esserlo alcuna legge se ciò che producono è maggiore disuguaglianza, perdita di diritti, umiliazione o violenza».

Nell’appello finale, Francesco rilancia le parole d’ordine dei movimenti popolari: per ripensare l’idea di giustizia sociale, bisogna dimostrarsi «solidali e giusti», lottando «contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, di terra e di alloggio. Terra, tetto e lavoro, techo, tierra y trabajo, le tre ‘T’ che ci rendono degni».

«La proprietà come “diritto naturale secondario” è un’espressione nuova che finora non era emersa nel magistero papale», spiega al manifesto Daniele Menozzi, professore emerito di storia contemporanea alla Normale di Pisa e studioso del papato in età moderna e contemporanea.

«È un linguaggio nuovo ma non è una novità concettuale, si pone all’incrocio di due tradizioni – prosegue Menozzi –: quella millenaria della destinazione universale dei beni, secondo la quale fin dalla patristica si sottolineava che in caso di emergenza era lecito per i poveri appropriarsi di quanto necessario al proprio sostentamento; e quella più recente della Rerum Novarum, in cui Leone XIII afferma che la proprietà privata è un diritto naturale della persona ma lo Stato ha tutto il diritto di “temperarla” per il bene comune di tutti, poi sviluppata da Pio XI che afferma il diritto dello Stato di espropriare (a pagamento) la proprietà privata per il bene sociale».

Ad essere del tutto nuova secondo Menozzi è la prospettiva: «Francesco non si colloca più sul piano delle relazioni industriali, anche perché non c’è più lo spettro novecentesco della collettivizzazione socialista che vedevano Leone XIII e Pio XI, ma in un orizzonte geografico globale, dove vi è una concentrazione della proprietà che danneggia l’intero pianeta e che quindi rende necessaria un’equità nella distribuzione dei beni. E poi il fatto che parli ai giudici: non vuole fare solo un discorso dottrinale, ma invita a metterlo in pratica a livello giurisdizionale.

Quindi non è una visione astratta dell’organizzazione collettiva, ma è una visione giuridica, per cui coloro che detengono gli strumenti di applicazione delle legge devono metterla in pratica».

* Fonte: Luca Kocci, il manifesto


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