Caso Regeni. La procura di Roma chiede il processo per gli 007 egiziani

Caso Regeni. La procura di Roma chiede il processo per gli 007 egiziani

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Se un giorno Giulio Regeni dovesse mai ottenere giustizia, lo si dovrà soltanto al lavoro della Procura di Roma, che non ha mai mollato la presa malgrado nella sua battaglia contro i depistaggi egiziani non sia stata di certo molto supportata dalla politica italiana, né dai governi che si sono succeduti, tutti troppo compiacenti con il regime di al-Sisi.

A quasi cinque anni dal rapimento e dall’omicidio del ricercatore friuliano, scomparso al Cairo nei pressi della propria abitazione il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere il 3 febbraio, ieri il procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco, responsabile del fascicolo, hanno chiesto il rinvio a giudizio per i quattro appartenenti ai servizi segreti egiziani sui quali a dicembre si sono concluse le indagini. Il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif, della National security, sono a vario titolo accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate (il reato di tortura è stato introdotto nel nostro ordinamento soltanto dopo i fatti contestati).

NEL MIRINO degli investigatori italiani c’erano anche altre 13 persone (tra cui l’agente Mahmoud Najem, anch’egli indagato ma per il quale è stata chiesta l’archiviazione), sulle quali però non è stato possibile raccogliere un numero sufficiente di prove perché le autorità egiziane hanno opposto sempre «un muro di reticenza ed evasività», come ha testimoniato davanti alla commissione d’inchiesta Davide Bonvicini, primo segretario dell’ambasciata d’Italia al Cairo all’epoca dei fatti. Muro che di certo non si è sgretolato con i ripetuti riti di «sdegno», anche ieri esibiti: «Ora le autorità del Cairo hanno l’occasione di collaborare con la giustizia italiana e pretendiamo che lo facciano», hanno tuonato per esempio i deputati del M5S che siedono in commissione Esteri e nella commissione di inchiesta parlamentare per la morte di Giulio Regeni.

MOLTO PROBABILMENTE non ci sarà collaborazione da parte egiziana neppure questa volta, quando davanti al Giudice per le udienze preliminari si aprirà la questione dell’assenza dell’elezione di domicilio per gli imputati, cosa che potrebbe pregiudicare lo stesso processo. Secondo la legge italiana, infatti, non si può procedere se non c’è certezza dell’avvenuta notifica ai quattro 007 egiziani. Eppure, già nell’aprile 2019 la questione fu oggetto di una rogatoria firmata dall’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone, e più volte in questi anni sono state inviate sollecitazioni. Ma, da parte degli avvocati d’ufficio che difendono i quattro imputati, non è arrivata mai alcuna risposta.

A inizio udienza – che potrebbe essere fissata a maggio prossimo – il Gup dovrà quindi decidere se il rifiuto di eleggere domicilio da parte egiziana sia strumentale a fermare il processo. E se, visto il forte risalto mediatico ottenuto in Egitto, il caso non sia sufficientemente noto da ritenere che gli imputati conoscano la loro posizione giudiziaria in Italia (i quattro membri della National Security sono iscritti sul registro degli indagati dal 4 dicembre 2018). In questo caso, il dibattimento potrebbe aver luogo ugualmente anche se, ammesso che si arrivi ad una sentenza di condanna passata in giudicato, l’assenza di una convenzione internazionale di cooperazione giudiziaria tra l’Italia e l’Egitto potrebbe comunque ostacolare il corso della giustizia.

AD OGNI MODO, come ha spiegato il pm Colaiocco lo scorso 10 dicembre alla commissione d’inchiesta presieduta dal deputato di Si, Erasmo Palazzotto, non è mai stato chiuso l’«originario procedimento contro ignoti aperto il 4 febbraio 2016, nel quale noi abbiamo sempre la speranza di poter fare ulteriore luce sulle responsabilità e sulla ricostruzione degli avvenimenti, attraverso ulteriori elementi che dovessero, speriamo, pervenire dalle autorità egiziane o da altri testimoni che dovessero ritenere di farsi finalmente avanti e illuminare gli avvenimenti accaduti in quei giorni». Si tratta ora però di non disperdere questo primo «risultato estremamente importante e non scontato», ottenuto a duro prezzo. Perché, come ha spiegato a palazzo San Macuto Colaiocco, «lo dovevamo a Giulio e all’essere magistrati di questa Repubblica».

* Fonte: Eleonora Martini, il manifesto



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