Iraq. Kamikaze al mercato della capitale, decine le vittime

by Chiara Cruciati * | 22 Gennaio 2021 10:16

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I banchi del mercato di piazza Tayaran, al centro di Baghdad, erano attorniati dai clienti ieri mattina. È tra di loro che si sono fatti strada due uomini e le loro cinture esplosive. Invisibili agli occhi. Si sono fatti saltare in aria in mezzo alla folla: almeno 32 i morti, oltre 110 i feriti. Le foto mostrano lo strazio: corpi riversi a terra, sangue sui vestiti esposti nelle bancarelle, sulle scarpe per bambini cadute al suolo.

Un video, ripreso da un palazzo che dà sulla piazza, mostra il momento in cui uno dei due attentatori si fa esplodere: l’onda d’urto è potentissima e rigetta Baghdad, tre anni dopo l’ultimo attacco firmato Stato islamico, nel terrore. In piena pandemia, con il sistema sanitario post-occupazione Usa già al collasso e un’economia informale frenata dai lockdown.

La dinamica è la peggiore: il primo attentatore avrebbe raccolto persone intorno a sé fingendo di sentirsi male, il secondo ha investito i soccorritori. Non succedeva dal gennaio 2018 quando la capitale irachena fu colpita da un attentato, 35 morti e 90 feriti nella stessa piazza. All’epoca si parlò della facilità con cui cellule (poco) dormienti dell’Isis, dato per sconfitto nel dicembre 2017 dall’allora premier al-Abadi, riuscissero a muoversi nel centro e nel sud del paese.

Ieri di rivendicazioni non ne sono arrivate, ma gli analisti (tra cui l’Alta Commissione per i diritti umani) puntano sulla stessa carta: l’Isis e, di conseguenza, l’incapacità dello Stato di agire nonostante girassero informazioni in merito a possibili attacchi.

Il primo ministro e capo delle forze armate Mustafa al-Khadimi ieri ha ordinato un meeting d’urgenza delle agenzie di sicurezza irachena, indetto lo stato d’emergenza e aperto un’inchiesta per determinare come i due kamikaze abbiano potuto evadere i controlli di sicurezza (Baghdad è un checkpoint continuo). Secondo fonti militari citate dall’agenzia Shafaq News, al-Kadhimi avrebbe dato ai vertici dell’intelligence e delle forze armate «un’ultima possibilità»: se accade di nuovo, salterà qualche testa.

Al gioco al massacro partecipano anche le milizie sciite fattesi partito. Ieri il leader delle Asa’ib Ahl al-Haq, Qais Khazali, ha accusato il governo di responsabilità indiretta nella strage: «L’Isis non è forte ma la negligenza della sicurezza e l’indifferenza del governo sono le ragioni dei recenti attacchi terroristici a Diyala, Salah-a-din, Anbar, Jurf al-Sakhar e più di recente in piazza Tayaran a Baghdad», ha scritto in un tweet.

Ma c’è anche chi dà versioni alternative. Non tutti credono a un ruolo dello Stato islamico, soprattutto in vista delle elezioni del prossimo ottobre. Una fonte interna al movimento di protesta, nato il primo ottobre 2019 contro il sistema settario che governa il paese dal 2003 e le diseguaglianze socio-economiche, dà voce a chi pensa che dietro l’attacco ci sia una strategia della tensione orchestrata dall’interno: «Ogni elezione succede lo stesso – ci dice l’attivista, chiedendo l’anonimato – Ci sono partiti che hanno interesse a colpire, spinti da faide interne e per creare un senso di panico che porti a confermare il vecchio sistema».

E a mettere a tacere per sempre la mobilitazione popolare. Era già successo con il Covid-19: membri del governo hanno accusato i manifestanti di fare da untori, restando nelle piazze e nei presidi permanenti. Dimenticando il ruolo giocato dall’autogestione di piazza Tahrir che ha passato settimane a distribuire mascherine, gel igienizzanti, aiuti alimentari a chi non poteva più lavorare, a sanificare le tende e i quartieri di Baghdad.

* Fonte: Chiara Cruciati, il manifesto[1]

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