Capitol Hill. Ignorato il memorandum dell’FBI che annunciava l’assalto

by Marina Catucci * | 25 Febbraio 2021 16:45

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NEW YORK. Il Senato degli Stati uniti ha cominciato le udienze pubbliche sulla rivolta del 6 gennaio. Al centro della prima udienza il promemoria dell’Fbi inviato un giorno prima dell’insurrezione, contenente un avvertimento esplicito riguardo un potenziale scoppio di violenza.

Ai funzionari come all’ex capo della polizia del Campidoglio Steven Sund e agli allora sergenti d’armi, Paul Irving e Michael Stenger, è stato chiesto perché un tale avvertimento non abbia generato una risposta più forte e strutturata e perché la richiesta di aiuto della Guardia nazionale abbia avuto una risposta tanto lenta.

Il tanto discusso «promemoria di Norfolk», dal nome dell’ufficio dell’Fbi della Virginia da dove è stato inviato, è stato il punto chiave dell’udienza: «Questo è un rapporto di cui sto solo venendo a conoscenza ultimamente – ha detto Sund – Mi hanno informato ieri del rapporto».

Il memo era stato reso pubblico per la prima volta dal Washington Post il 12 gennaio: non è chiaro perché Sund abbia impiegato sei settimane per venirne a conoscenza.

Ha detto di non essere l’unico a non avere visto il promemoria prima dell’attacco: «Com’è possibile non ricevere un memo dell’intelligence di importanza vitale alla vigilia di quello che sarà un evento importante?», ha chiesto a Sund il senatore democratico del Michigan Gary Peters.

Il senatore repubblicano del Missouri Roy Blunt, invece, ha chiesto agli ex funzionari della richiesta che Sund sostiene di aver fatto, nei giorni precedenti la rivolta, per convocare le truppe della Guardia nazionale. Sund nella sua testimonianza ha detto di aver chiesto a Irving e Stenger di fare una dichiarazione di emergenza, per ottenere il sostegno delle truppe.

Irving ha risposto di non avere inteso quella di Sund come una richiesta formale di truppe, ma come una semplice conversazione in cui Sund aveva detto che la Guardia nazionale si era offerta di inviare 125 truppe per aiutare con il controllo della folla.

Queste testimonianze incrociate sembrerebbero surreali se non avvenissero all’interno di un’udienza del Senato che sta indagando sulle falle che hanno portato a un tentativo di colpo di Stato e messo a rischio la vita e la sicurezza del Congresso e di chi lavora al Campidoglio.

Sembra echeggiare una linea di difesa nota, la stessa usata a inizio anni 2000 dall’allora presidente Bush interrogato su come fosse stato possibile che un attacco terroristico della portata di quelli dell’11 settembre fosse sfuggito ai controlli di intelligence.

Ai tempi anche Bush jr disse di non aver letto il memo dell’intelligence che avvertiva di un pericolo immanente. Questo problema di comunicazione sembra perdurare ai vertici della politica Usa.

Testimoni e legislatori hanno sottolineato il ruolo giocato dai suprematisti bianchi nella manifestazione pro-Trump, minando i tentativi dei repubblicani di minimizzare il loro coinvolgimento, aiutandosi con i video dell’attacco e i documenti del tribunale riguardanti i casi di alcuni dei terroristi che dimostrano chiaramente il ruolo giocato da i suprematisti bianchi il 6 gennaio.

Tutti e quattro i testimoni, alla domanda della senatrice democratica del Minnesota Amy Klobuchar («Sarebbe d’accordo sul fatto che questo attacco abbia coinvolto suprematisti bianchi e gruppi estremisti?») hanno risposto affermativamente.

Carneysha Mendoza, una capitana della polizia del Campidoglio, ha ricordato ai legislatori che «più gruppi di suprematisti bianchi, inclusi i Proud Boys e non solo loro» erano andati a Washington già per le prime due manifestazioni pro-Trump dopo le elezioni di novembre e che erano tornati anche il 6 gennaio, ben visibili in prima linea nella folla che ha preso d’assalto il Campidoglio.

Ora una sottocommissione della Camera inizierà ad ascoltare le testimonianze per valutare i danni dell’insurrezione. Secondo la testimonianza di un funzionario, il prezzo da pagare per i danni e l’aumento della sicurezza di Capitol Hill è già di 30 milioni di dollari.

* Fonte: Marina Catucci, il manifesto[1]

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