Con Biden la diplomazia torna in Africa, ma i droni killer restano

by Sabato Angieri * | 18 Febbraio 2021 16:58

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Dall’insediamento di Joe Biden alla Casa bianca gli analisti politici attendono di vedere quali saranno le scelte del nuovo presidente rispetto agli stati africani, soprattutto nell’ottica del contrasto all’espansionismo cinese, dopo che l’amministrazione Trump ha dimostrato scarso o nullo interesse verso le relazioni diplomatiche con il continente africano.

Dal punto di vista militare il discorso è molto diverso. L’Africom (il Comando militare statunitense in Africa) negli ultimi anni è stato molto rafforzato e i rapporti bilaterali con diversi stati africani giudicati strategici dai funzionari Usa sono stati rinsaldati grazie alla vendita di armi e apparecchi militari. Come è avvenuto ad esempio per la Tunisia o il Marocco.

Il Marocco, porta d’accesso all’Africa, anche per la sollecitudine con cui ha aderito al Patto di Abramo voluto da Trump è il destinatario, secondo rivelazioni Reuters poi confermate dalla notifica al Congresso lo scorso dicembre, di una fornitura di quattro droni MQ-9B “SeaGuardian” prodotti dalla ditta privata General Atomics e di munizioni guidate di precisione (meglio note come “bombe intelligenti”) della Lockheed Martin, Raytheon e Boeing.

Nel complesso, si tratta di un accordo da un miliardo di dollari di forniture militari. L’approvazione definitiva non è ancora giunta ma sembra che l’accordo sia già stato definito nei dettagli, il che è molto significativo in quanto potrebbe rappresentare la prima vendita di droni dopo la rivisitazione del trattato internazionale sul controllo degli armamenti operata dalla presidenza Trump. Inoltre, costituirebbe un ulteriore avvicinamento che potrebbe portare alla costituzione di un consolato generale americano proprio nel regno nordafricano.
Ma questa non è l’unica mossa significativa sul piano strategico e militare compiuta dalla vecchia amministrazione Usa. In Niger, nei pressi di Agadez, è stata inaugurata nel 2019 una nuovissima base dell’aeronautica di Washington chiamata Niger Air Base 201, costata ben 110 milioni di dollari. Oggi è la base operativa per i droni che agiscono in tutto il continente a copertura delle quasi 800 unità statunitensi presenti nell’area.

Del resto, sono anni che le organizzazioni umanitarie e alcuni governi denunciano le stragi di civili innocenti compiute dai cosiddetti “droni killer”. Secondo il sito della New America Foundation, che si occupa tra l’altro di tracciare gli attacchi dei droni Usa nel mondo, solo in Somalia negli ultimi 13 anni ci sarebbero stati 263 attacchi che hanno provocato tra 1479 e 1885 morti. I numeri non sono mai precisi in quanto le Forze Armate statunitensi non li pubblicano direttamente né rendono noti tutti gli attacchi.

La Somalia, terra d’azione del gruppo terroristico islamista Al Shabaab, è ufficialmente tra gli obiettivi cardine della strategia della war on terror degli Usa in Africa. Altre azioni contro formazioni jihadiste si svolgono tra il Sahel e la Libia, sulle antiche piste carovaniere oggi percorse dai trafficanti di uomini e armi, lungo le coste del lago Ciad e lo scorso settembre è stato reso noto anche un attacco in territorio kenyano, con una breve offensiva in risposta alla morte di un soldato e di due mercenari durante un attacco di al Shabaab alla base militare statunitense di Lamu.

Dopo la rimozione del veto all’elezione di Ngozi Okonjo-Iweala all’Organizzazione mondiale del commercio, è ora interessante capire cosa sarà capace di fare il nuovo presidente americano, oltre alle aperture diplomatiche.

* Fonte: Sabato Angieri, il manifesto[1]

 

ph USAFRICOM, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

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  1. il manifesto: https://ilmanifesto.it/

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