Crimini dell’estrattivismo. La Patagonia brucia, ma la destra accusa i «terroristi mapuche»

Crimini dell’estrattivismo. La Patagonia brucia, ma la destra accusa i «terroristi mapuche»

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Sono controllati ma non ancora spenti i devastanti incendi che, dal 7 marzo, nelle province di Chubut e Río Negro nella Patagonia argentina, hanno distrutto circa 15mila ettari di foresta, provocando la morte di due persone, l’evacuazione di decine di altre e la distruzione di oltre 300 case.

SULLA NATURA DOLOSA degli incendi, indicata dalla loro simultanea origine in ben sette località della regione, concordano in molti, benché c’è chi individui come causa iniziale la caduta di un trasformatore della linea elettrica, insieme alle inusuali alte temperature degli ultimi mesi, alla siccità e alla grande quantità di piantagioni di pino, com’è noto altamente infiammabili.
Del resto, secondo il Servicio Nacional de Manejo del Fuego, il 95% degli incendi forestali in Argentina è di origine dolosa o colposa, spesso relazionata all’espansione degli allevamenti o alla speculazione immobiliare, particolarmente aggressiva proprio in questa regione di incalcolabile bellezza.

Eppure, alcuni esponenti politici hanno trovato più facile e conveniente puntare il dito contro il popolo mapuche-tehuelche, proprio il più inverosimile tra tutti i possibili responsabili, ma anche il colpevole perfetto agli occhi dei forti interessi in gioco nella regione, compresi quelli onnipresenti dell’estrattivismo minerario contro cui la popolazione di Chubut è in lotta da 18 anni.

Ha esordito l’ex candidato a vicepresidente per la destra macrista Miguel Ángel Pichetto, che, senza una sola prova, ha dichiarato che i colpevoli erano i «terroristi» della Ram (Resistencia Ancestral Mapuche), i quali, a suo giudizio, starebbero «dominando la zona». Ma gli hanno fatto subito eco, tra gli altri, il senatore Alberto Weretilneck, raccomandando un «castigo esemplare», e l’ex intendente di El Hoyo Mario Breide, sostenendo che la Ram avrebbe «sempre minacciato di dar fuoco a tutto».

LA RISPOSTA DEI MAPUCHE contro l’«irresponsabilità politica» di tali denunce, tuttavia, non si è fatta attendere. «Siamo noi – ha dichiarato la Coordinadora del Parlamento Mapuche-Tehuelche en Río Negro – che ci prendiamo cura del territorio contro la voracità del settore immobiliare dopo ogni incendio, che difendiamo il territorio dalle mire delle imprese minerarie, forestali e idroelettriche. Come potremmo bruciare la nostra foresta e le nostre stesse case?».

Al loro fianco si è schierata anche la Unión de Asambleas de Chubut, che in un comunicato ha denunciato l’avanzata estrattivista nel territorio ai danni della foresta e dei suoi principali custodi. «È per questo che perseguitano e assassinano i nostri fratelli e sorelle mapuche. Ed è per la stessa ragione che la foresta arde: perché il suo sottosuolo contiene enormi ricchezze minerarie».

Ad aggravare ulteriormente le tensioni nella regione, c’è stata anche, sabato scorso, l’aggressione nella città di Lago Puelo al presidente Alberto Fernández, in visita nell’area colpita dagli incendi, nel quadro di una protesta dell’assemblea «No a la Mina Esquel», contro il sostegno del presidente alla contestatissima politica pro-mineraria del governatore di Chubut Mariano Arcioni.

L’ASSEMBLEA, tuttavia, ha negato ogni responsabilità nell’assalto, indicando come responsabili alcuni agenti infiltrati della polizia provinciale agli ordini del governatore, interessato a «demonizzare, agli occhi dell’opinione pubblica, la storica e pacifica resistenza sociale ai progetti minerari delle imprese transnazionali nella provincia di Chubut». A finire in carcere, tuttavia, sono stati ovviamente i manifestanti, tra i quali anche alcuni docenti.

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto



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