Giordania. Non un golpe contro re Abdallah, ma regolamento di conti nella famiglia reale

by Michele Giorgio * | 6 Aprile 2021 11:49

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Circolano le ipotesi più varie. L’ultima vorrebbe che siano stati gli Usa, freschi della firma il mese scorso dell’accordo di sicurezza con Amman che permetterà alle forze armate americane di entrare e muoversi come credono nel territorio giordano, ad avvertire re Abdallah di un complotto per rovesciarlo ordito dal fratellastro Hamzah, ora agli arresti domiciliari. Ma a tre giorni di distanza dalla clamorosa operazione di sicurezza che ha scosso Amman e portato all’arresto di una ventina tra alti dignitari e capi di tribù beduine, la versione dello sventato colpo di stato non regge. Un golpe richiede il coinvolgimento dell’esercito e degli apparati di sicurezza e in questa vicenda non ci sono generali e capi dell’intelligence.

Piuttosto si deve parlare di un intrigo di palazzo e di un regolamento di conti nella famiglia reale. Hamzah, erede al trono fino al 2004, quando fu frettolosamente messo da parte, negli ultimi anni è stato una spina nel fianco del re, per le sue critiche alle politiche del fratellastro e la denuncia della corruzione. Un dissenso che si è fatto più insidioso quando il principe è riuscito a portare nella sua orbita alcuni personaggi di primo piano vicini al re e in parte arrestati sabato scorso. Tra questi spicca l’influente palestinese-giordano-saudita Basem Awadallah, per anni ai vertici della monarchia hashemita, uomo d’affari di successo a Dubai e consulente del discusso, a dir poco, principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Re Abdallah teme che l’Arabia saudita, in accordo in Israele, possa sottrargli la custodia islamica della Spianata delle moschee di Gerusalemme. Anche questo spiega perché sabato Riyadh sia stata la più sollecita delle monarchie arabe a manifestare piena solidarietà alla «sorella Giordania».

Altrettanto rapido a schierarsi con re Abdallah è stato il ministro della difesa israeliano Benny Gantz consapevole della centralità dei rapporti con Amman, principale alleata di Israele nella attuazione dell’asfissiante sistema di controllo dei palestinesi nei Territori occupati e nel regno hashemita. A maggior ragione dopo le voci circolate in Giordania su un coinvolgimento nel «colpo di stato» di un ex agente del Mossad, Roi Shpushnik. Non è passato inosservato il silenzio del premier Netanyahu, impegnato in uno scontro a distanza con re Abdallah che ha impedito il mese scorso al suo aereo di entrare dello spazio aereo giordano mandando a monte la sua visita ufficiale negli Emirati. Netanyahu non fa nulla per mettere a tacere chi, nella destra israeliana, è tornato a rilanciare l’antica «Opzione giordana», ossia la Giordania – già popolata in maggioranza da palestinesi – come lo Stato in cui dovrà realizzarsi l’aspirazione dei palestinesi alla sovranità. Il recente Accordo di Abramo tra Israele e quattro paesi arabi ha minato la strategia di Amman di condizionare l’espansione dei legami arabo-israeliani a una soluzione per il conflitto israelo-palestinese.

«Ci sono tante spiegazioni ma poche prove a sostegno di questa gigantesca operazione di sicurezza che avrebbe sventato un golpe» dice al manifesto l’analista giordano Mouin Rabbani. «Se questa prova di forza – aggiunge – punta a mettere a tacere il dissenso interno, temo che si rivelerà controproducente. E se la monarchia ha voluto ribadire agli Stati della regione di avere tutto sotto controllo, così facendo ha dato un segnale non di forza ma di debolezza».

Anche due anni fa, nel maggio 2019, la stampa araba scrisse di una personalità vicino a re Abdullah che stava progettando un colpo di stato. Poco dopo fu sostituito il capo dell’intelligence Adnan al Jundi. La vicenda servì a placare l’opinione pubblica giordana dopo un periodo di manifestazioni per il lavoro, per i tagli fiscali e la guerra alla corruzione. Non è migliore la situazione attuale del regno hashemitacolpito dalle conseguenze economiche e sociali della pandemia di coronavirus: migliaia di aziende hanno chiuso, la disoccupazione ufficiale è a oltre il 25% ed è cresciuto l’impegno per il mantenimento dei profughi siriani e palestinesi. Re Abdallah, indicato venti anni fa, all’inizio del suo regno, come un innovatore con in mente piani di sviluppo, ora vede sgretolarsi il suo prestigio. La Giordania non ha fatto passi in avanti e non può sopravvivere senza gli aiuti delle monarchie del Golfo e degli Usa e i prestiti internazionali. È questa realtà, non i presunti complotti, la vera minaccia alla sua stabilità.

Hamzah intanto non si piega. Dopo il video fatto arrivare sabato alla Bbc in cui ha negato tutte le accuse, ieri in un audio ha ribadito «Non obbedirò agli ordini restrittivi». E ha promesso di sfidare i divieti che gli hanno imposto i militari. «È una situazione difficile – ha spiegato –   il capo delle Forze armate, il generale Yousef Huneiiti, è venuto a casa mia a minacciarmi e non posso contattare nessuno, tranne la mia famiglia…Aspetto di vedere quello che faranno, non farò alcuna mossa immediata ma non obbedirò ai loro ordini. Non faccio parte di alcuna cospirazione o organizzazione malvagia o di un gruppo appoggiato dall’estero». A credergli non sono in pochi.

* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto[1]

 

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