La missione d’affari di Draghi in Libia e la torsione della verità

by Tommaso Di Francesco * | 7 Aprile 2021 9:54

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«Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia…». Diciamolo francamente, le parole del presidente del consiglio Mario Draghi in missione d’affari a Tripoli da Dabaiba, l’ultimo leader tripolino da noi accreditato dopo lo sponsorizzato al-Sarraj, rappresentano insieme una menzogna ed una offesa.

Una menzogna – con pure una sua spolverata umanitaria sui «corridoi» che purtroppo restano iniziativa marginale – perché, ed è impossibile che non ne sia informato, i governi che lo hanno preceduto – Renzi, Gentiloni, Conte 1, Conte 2, unica eccezione Enrico Letta che attivò la missione della Marina militare Mare Nostrum per salvarli davvero i migranti – si sono caratterizzati per avere delegato alle sedicenti autorità libiche e alle loro milizie, volta a volta ammantate da divise ufficiali, la gestione sia del controllo dei migranti a terra che del blocco, whatever it takes, delle loro disperate partenze. Di questo siamo soddisfatti? La nostra delega ha costituito infatti la legittimazione di una aperta violazione dei diritti umani, perché l’area della Tripolitania e non solo si è trasformata – in piena e prolungata guerra civile intestina tra clan contrapposti dopo la caduta di Gheddafi ad opera della Nato – in un immenso campo di concentramento, dove i migranti sono stati catturati come prede, raccolti come merce di scambio.

Spesso barbaramente torturati e sottoposti a violenze di ogni genere. Parliamo di una migrazione inarrestabile che arriva dalla poverissima – ma ricchissima di materie prime – Africa dell’interno, dove le crisi politiche e le guerre si moltiplicano e spesso vedono coinvolti proprio gli interessi europei e occidentali. Fuggono dalla miseria e dai conflitti armati che contribuiamo ad alimentare con il traffico di armi e la corruzione di tanti governi in carica. Nell’imbuto libico, attraversando i deserti, devono essere fermati, non debbono arrivare nella Fortezza Europa. Il misfatto deve essere tenuto lontano.

Infatti abbiamo inventato l’esternalizzazione delle frontiere dell’Europa: arrivano fino al Sahel, al Mali, al Niger, al Ciad. Fino dove arrivano i nostri affari. Lì portiamo avanti con missioni militari e occupazioni, con interventi «mirati» alimentando nuovi nemici, nuovi conflitti e radicalità che ormai dappertutto in Africa vestono i panni dell’integralismo islamico, il nemico propizio del circolo vizioso della nostra «civiltà»: più armi più guerre, più guerre più asimmetrico terrorismo di ritorno, più macerie più profughi, più profughi più campi di concentramento e più razzismo populista, più conflitti, più distruzioni più affari per le ricostruzioni…

Ma le parole di ringraziamento di Draghi suonano anche come offesa a quanti hanno denunciato la gestione criminale in tutti questi anni della questione dei migranti: parliamo dell’Oim, dell’Alto Commissariato per i Diritti umani delle Nazioni unite (Unhcr), che hanno più volte denunciato la dichiarazione cara prima al democratico neo-coloniale Minniti poi al razzista Salvini, che la Libia era «un posto sicuro», documentando le sevizie e la prigionia alle quali sono stati sottoposti – senza dimenticare i tanti reportage del giornalismo d’inchiesta non embedded; una offesa alle Ong di soccorso a mare che, incuranti della prepotenza dei governanti che hanno voluto e vogliono la loro criminalizzazione, hanno rischiato sottraendo ogni essere umano dalle mani delle milizie costiero-carcerarie. Ma soprattutto è una offesa ai tanti morti delle stragi nel Mediterraneo dove, nella sostanziale amministrazione della «teoria e pratica dei porti chiusi» l’Unione europea e l’Italia nel rimpallo di responsabilità nei soccorsi e nel salvataggio, sono stati a guardare che si estendesse il vasto cimitero mediterraneo, con una strage di affogati dietro l’altra.

Dal 2011 a oggi i morti nel Mediterraneo sono 25 mila, secondo i dati Oim e Unhcr-Onu. E dal 2017 a oggi, cioè dalla firma del memorandum di Minniti, oltre 55 mila persone sono state riportate indietro dalla guardia costiera libica, ossia sono respingimenti per procura – l’Italia o l’Ue non potrebbero farlo ma lo abbiano fatto fare ai libici, pagandoli profumatamente. Senza contare le vittime cadute negli attraversamenti dei deserti.
Draghi però non si muove certo in solitudine. Fatto significativo, nelle stesse ore della sua missione a Tripoli con Di Maio, i rappresentanti dell’Europa Charles Michel e von Der Leyen sono stati ospiti di Erdogan in Turchia. Viaggio d’affari anche lì, quindi con il dare e l’avere: riallacciare i rapporti con il Sultano atlantico perché continui nell’opera di contenimento delle rotte dei profughi in fuga da tre guerre: irachena, afghana e soprattutto dall’inferno della Siria. Dove Erdogan – che cancella in patria i diritti umani – ha fatto di tutto: è entrato in guerra, ha massacrato i curdi, ha gestito il flusso di jihadisti trafficando con loro in petrolio e armi – come hanno denunciato giornalisti indipendenti finiti in galera o in esilio – , diventandone il santuario. E questo su istigazione della coalizione degli Amici della Siria (Usa, Arabia saudita, Paesi europei) nell’intento di destabilizzare la Siria com’era riuscito in Libia. Il risultato è un paese di milioni di esseri umani in macerie. Ora l’Europa, così attenta ai diritti umani altrui, chiede offrendo miliardi di euro, che la Turchia continui a trasformare parte del suo territorio a partire dalle sue frontiere in un immenso sistema concentrazionario.

Così Draghi fa la sua parte sull’altra sponda del Mediterraneo. Sa poco di Libia, forse, ma sa di affari e finanza: al primo posto nuovo import export energetico e business della ricostruzione. Lo scambio vale dunque la consegna della medaglia al «salvataggio» alle milizie libiche che a giorni anche il «parlamento» italiano, vale a dire questa mega-coalizione di governo con la finta opposizione dell’estrema destra di Fd’I, sta per ri-approvare. E ora Draghi, contento e soddisfatto, elogia la Libia per le catture delle prede umane.

* Fonte: Tommaso Di Francesco, il manifesto[1]

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