La persecuzione dei vinti

La persecuzione dei vinti

Loading

Mi tocca fare una profonda e sincera autocritica: come tanti, impegnati in vario modo per l’umanizzazione delle condizioni di detenzione e per i diritti delle persone recluse (ancor più compressi e vulnerati nel tempo della pandemia), avevo salutato la nomina di Marta Cartabia a ministro della Giustizia come una salutare iniezione di speranza, in una situazione sempre più tesa e incattivita.

«Dopo la lunga notte arriva il ministro della Costituzione», aveva titolato sul suo sito il Gruppo Abele il mio editoriale. Che così si concludeva: «Detenere una persona non risponde solo alle prerogative e pretese punitive dello Stato, che al momento sembrano indiscutibili, anche se per fortuna rimane sempre accesa la fiammella di quelle culture che auspicano si arrivi a liberarsi dalla necessità del carcere. E chissà che a queste si richiamino pure le aspirazioni del nuovo ministro di Giustizia. Il cui dicastero, dopo decenni, con lei potrebbe finalmente recuperare, se non nel nome nella sostanza, anche la Grazia. […] allora la pena reclusiva, con l’arrivo di Marta Cartabia, potrebbe cessare di somigliare alla ritorsione per farsi processo di ricucitura e di recupero. Ai sensi e nel rispetto, finalmente, della Costituzione».

In tutta evidenza, mi ero sbagliato, non potendosi pensare che le autorità francesi non abbiano ricevuto, se non la sollecitazione, il placet di quelle italiane.

A meno che mi sia sfuggito, pur nelle ricorrenti ansie di manomissione della Costituzione in corso da decenni, non mi pare che all’articolo 27 sia stato introdotto il diritto alla vendetta. E, come la si guardi, solo a questo rimandano gli arresti odierni avvenuti a Parigi di ex militanti italiani degli anni Settanta, persone anziane, in alcuni casi gravemente malate come Giorgio Pietrostefani, a quasi mezzo secolo di distanza dai fatti per i quali sono stati condannati con le sbrigative regole, e le inaudite pene, della legislazione di emergenza che ha avuto corso in Italia negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso per reprimere quel violento sommovimento che ha in vario modo coinvolto decine di migliaia di persone passato alla storia con la pessima definizione di “anni di piombo”. Anzi: NON passato alla storia, dato che si continua a trattare come cronaca, inseguendo ai quattro angoli del mondo uno sparuto gruppetto di persone anziane, e da decenni pur faticosamente integrate, affinché, viene detto dalla vulgata forcaiola divenuto sentimento della maggioranza, “non la facciano franca”.

Come se una vita precaria da fuggiaschi fosse condizione invidiabile. Certo lo deve essere per quei generali riparati impuniti e riveriti in Sudafrica, coinvolti in quelle trame e stragi di Stato che sono stati una delle concause della rivolta armata. O per quei corrotti e corruttori, ladri e profittatori, comodamente e lussuosamente ospitati in qualche Emirato arabo. Ma non per questi ex giovani, divenuti ostaggio di un diffuso sentimento di vendetta e di una bipartisan speculazione politica che in Italia non si vuole archiviare assieme alle leggi liberticide di quel periodo. Un sentimento che sopravvive alle norme, così come il potere politico e mediatico di chi quelle norme volle, collaborò a emanare, applicò e difese a oltranza, anche a fenomeno esaurito e a celle piene.

Fu un periodo cupo e insanguinato per il quale le ferite personali di chi è stato direttamente o indirettamente colpito esigono rispetto e considerazione, ma che non devono e non possono trasformarsi in vendetta come sta avvenendo.

Una vendetta che ci dice oggi anche di una eterogenesi dei fini di quanti – e sono tanti, ministra Cartabia compresa – hanno teorizzato, promosso e sostenuto la giustizia cosiddetta riparativa, fondata sul mettere al centro le vittime. Una centralità che, trasferita a livello politico, anziché umana vicinanza e riconoscimento verso chi ha sofferto e soffre per quella lontana stagione, è divenuta ed è stata strumentalizzata a fini di vendetta postuma, per imporre l’ergastolo della parola agli ex militanti che pur hanno scontato per intero la propria pena, per perseguitare a vita quelli espatriati e, assieme e prima ancora, per l’autoassoluzione della classe politica e degli apparati statali dell’epoca dalle proprie, dirette o indirette, responsabilità nella strategia della tensione e nelle infinite e impunite trame autoritarie, stragiste e golpiste degli anni Sessanta e Settanta.

Gli unici veri impuniti sono loro.

Un lungimirante padre della Repubblica e primo promotore dell’Europa unita, Altiero Spinelli, a lungo imprigionato e confinato dal fascismo, scrisse a un suo interlocutore: «Il carcere è concepito comunemente come uno strumento di pena e di rieducazione alla vita civile. Per quel che possono valere le mie osservazioni ed esperienze, ti assicuro che si tratta di due grossolane mistificazioni… Chi pensa che il carcere, comunque modificato, possa essere uno strumento di redenzione morale e sociale è vittima non di una illusione, ma di una ipocrisia».

Oggi l’ipocrisia francese e italiana può a ragione gridare alla vittoria. Giustizia è s-fatta, proprio quando la si vuole e la si dice trionfante.

 

(Sergio Segio, 28 aprile 2021)

 

foto: 1974, occupazioni a San Basilio,  © Tano D’Amico



Related Articles

Italia: la prima campagna di raccolta fondi che non ti chiede un Euro

Loading

Foto: Dirittodicritica.com

Dal 1 marzo 2012 la Lira andrà  definitivamente in pensione. Le stime però dicono che ce ne sono ancora molte in circolazione. Dove sono queste lire? Quanti sono gli italiani che conservano ancora degli esemplari della vecchia moneta? E soprattutto, come far tornare a vivere virtuosamente nel tempo la lira nonostante l’annunciata uscita di scena? Ecco una soluzione che ci ricorda come l’ultima Lira potrebbe essere quella più solidale.

OMBRE SU GATES FILANTROPO, SOLDI AGLI INQUINATORI

Loading

Spuntano ombre sulla Bill & Melinda Gates Foundation, il gigante della beneficenza

Donne in cerca di giustizia, in marcia a Roma per l’amnistia

Loading

In prima fila, al fianco dei leader radicali Marco Pannella, Emma Bonino, Rita Bernardini e Irene Testa, animatori principali della «Seconda marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà » che ha sfilato ieri dal carcere di Regina Coeli e per i vicoli del centro storico di Roma, ci sono molti volti di donne.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment