Pandemia. Per l’Istat, quasi metà delle imprese è a rischio

Pandemia. Per l’Istat, quasi metà delle imprese è a rischio

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Il ministro del lavoro Orlando: «Stiamo incontrando resistenze sulla riforma universale degli ammortizzatori sociali»

 

Il 45 per cento delle imprese italiane è strutturalmente a rischio a causa delle conseguenze scatenate dal blocco della domanda e dell’offerta sul mercato capitalistico decise dai governi italiani per contenere la diffusione della pandemia del Covid 19. E solo 11% risulta al momento «solido». Secondo il Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi si tratta di numerose imprese che operano nei settori a basso contenuto tecnologico e di conoscenza.

I PROVVEDIMENTI di lockdown introdotti in Italia e all’estero hanno svolto «un ruolo non marginale nella contrazione del valore aggiunto» «diminuito dell’11,1% nell’industria in senso stretto, dell’8,1% nei servizi, del 6,3% nelle costruzioni e del 6% nell’agricoltura». Gli effetti economici più devastanti riguardano le attività legate al turismo crollato del 59,2% e del 74,7% per quanto riguarda gli arrivi dall’estero. A rischio di fallimento ci sono le attività delle agenzie di viaggio (oltre 73%), aziende e cooperative che operano nel campo artistico e dell’intrattenimento (oltre 60%), nell’assistenza sociale non residenziale (circa 60%), nel trasporto aereo (59%), nella ristorazione (55%). In grande difficoltà è anche la filiera della moda: abbigliamento (oltre 50%), pelli (44%), tessile (35%). Nei servizi risulta strutturalmente fragile o a rischio circa il 50% delle imprese, con picchi elevatissimi nella ristorazione (95,5%), nei servizi per edifici e paesaggio (90%) e nei servizi alla persona (92,1%), assistenza sociale non residenziale (85,6%), attività sportive e di intrattenimento (85,5%).

NELL’INDUSTRIA sono in difficoltà le aziende che operano nel settore del legno (79,7%), delle costruzioni specializzate (79,7%), degli alimentari (78,5%), dell’abbigliamento (73,2%). La crisi ha travolto le imprese di piccola e piccolissima dimensione che non ricevono più domanda e hanno un accesso sempre più difficile alla liquidità. Un quarto del campione sta cercando di reagire alla crisi introducendo nuovi prodotti, diversificando i canali di vendita e di fornitura, un quinto ha riorganizzato profondamente processi e spazi di lavoro.

LA CRISI sta accentuando «il divario tra le aree geografiche: delle sei regioni il cui tessuto produttivo risulta ad alto rischio», cinque appartengono al Mezzogiorno, (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro (Umbria) mentre le sei a rischio basso sono tutte nell’Italia settentrionale (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento). L’impatto economico della pandemia sui territori è comunque «eterogeneo ma pervasivo». Le più colpite sono le regioni la cui economia è specializzata nelle attività più colpite dalla recessione: Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Sardegna, Lazio e Toscana turismo), Veneto, Toscana, Umbria e Marche (tessile), Calabria e Sicilia (commercio e ristorazione).

IL CONSIGLIO di indirizzo e vigilanza dell’Inps ieri ha presentato online il Rendiconto sociale 2019 e il pre-rendiconto sociale 2020. La lettura del testo permette di comprendere una parte dello sforzo che è stato realizzato dai due governi in carica nell’ultimo anno per fermare la valanga delle chiusure delle aziende, e dei licenziamenti. Possibilità che tornerà a manifestarsi alla scadenza del blocco dei licenziamenti e dell’estensione delle Cig tra fine giugno e fine ottobre. Nel 2020 sono stati autorizzati quasi tre miliardi di ore di cassa integrazione tra ordinaria e in deroga, senza tenere conto delle ore autorizzate dai Fondi di solidarietà Autorizzate 1,98 miliardi di ore di cig ordinaria con un utilizzo inferiore a 700 milioni e un tiraggio del 35% e quasi 981 milioni di ore di cassa in deroga con un utilizzo di 494 milioni e un tiraggio del 50%.

PER IL MINISTRO del lavoro Andrea Orlando l’annunciata riforma di un ammortizzatore universale incontra una serie di resistenze legate all’accumularsi di strumenti che hanno prodotto «ecosistemi» che se non messi in discussione rischiano di entrare in contraddizione con l’obiettivo dell’universalità della prestazione. L’obiettivo è di sostenere tutti quando sarà superato il blocco dei licenziamenti.

* Fonte: Mario Pierro, il manifesto



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