Regolamento europeo: introdotta la censura con il pretesto del terrorismo online

Regolamento europeo: introdotta la censura con il pretesto del terrorismo online

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“Via libera ad Orban”. O a quelli come lui. Via libera, senza neanche un voto. Ed è quest’ultima, forse, la cosa che allarma di più: la sottovalutazione. Accade in Europa, a Strasburgo. E che sia un “via libera” a chi viola sistematicamente i diritti, lo dice – fra i tanti – anche “Liberties.Eu”, la più che moderata organizzazione europea, che segue da vicino tutto ciò che riguarda le legislazioni digitali. Organizzazione che fa solo comunicati sobri, senza tante definizioni. Stavolta non si attiene al suo stile. Segno che qualcosa di grave è accaduto.

E’ successo infatti che – dopo anni di discussioni serrate, di scontri, di mobilitazioni – è stato approvato il nuovo regolamento contro il terrorismo on line. Senza un dibattito, né un voto in aula. Lo consente lo Statuto generale, negli articoli 67 e 68: prevedono che se non ci sono “proposte alternative, né emendamenti, né richieste di abrogazione”, l’atto si considera approvato così com’è formulato. 

Ed è esattamente quel che è avvenuto, quand’è passato per “mancanza di opposizione” – diciamo così – il testo nella formulazione varata a gennaio dalla “commissione libertà civili”, nome che oggi suona ancora più sarcastico. Regolamento che, a sua volta, era frutto di una trattativa fra governi e l’esecutivo europeo. Un testo al quale tante associazioni per le libertà digitali hanno provato ad opporsi negli anni e nei mesi scorsi. Un regolamento, insomma, intitolato alla lotta al terrorismo ma che col terrorismo ha poco a che fare. E si avvicina tanto alla censura. 

In tutte le sue parti. A cominciare dall’obbligo – imposto ai provider – di cancellare i messaggi sui social entro un arco di tempo brevissimo. Un’ora, appena un’ora (norma dalla quale sono esclusi solo i piccolissimi provider). Imperativo che riguarda da vicino i diritti civili: perché per poter dare forma a quest’obbligo, chi gestisce i social ha un solo strumento a disposizione, i filtri. I filtri automatici. Gli unici strumenti in grado di poter intervenire in sessanta minuti. 

Filtri automatici, dunque, quelli che bloccano senza l’intervento dell’uomo un tweet, un messaggio, un post, se rilevano la parola “jiahd”, la parola attentato. O come è stato denunciato recentemente quando leggono la parola palestinesi. 

Cancelleranno tutto, entro un’ora. Anche i commenti di denuncia. Come se i terroristi usassero i social mainstream per scambiarsi opinioni, come se usassero un linguaggio ufficiale. Come se non fosse stato semplice, per l’assassino della moschea neozelandese due anni fa, superare i blocchi di FaceBook e mandare in diretta il filmato della sua strage. 

Chi ci rimetterà, invece, saranno le libertà di parola, le libertà di dissenso, saranno gli utenti. Saranno gli attivisti per i diritti umani (pochi mesi fa, la denuncia delle ong sulla censura automatica esercitata su alcuni filmati provenienti dalla Siria, nel cui titolo c’era una parola bloccata), le associazioni per le libertà digitali, saranno i giornalisti che appena poche settimane fa avevano rivolto un disperato appello ai parlamentari europei perché respingessero quel regolamento. 

Non ce n’è stata l’occasione – per incuria o per scelta – perché nessuno ha chiesto di bocciarlo, né di emendarlo.

Accontentandosi, forse di quel po’ che si era riuscito a conquistare nei mesi scorsi. Sì, perché di questo regolamento se ne parla da un bel po’, dopo gli attentati che sconvolsero la Germania e la Francia. E qualcosa i movimenti erano riusciti ad attenuare, rispetto al primissimo impianto. 

Ma la sostanza, il “grosso” è rimasto lo stesso. Drammaticamente uguale. Consentendo appunto il “via libera ad Orban”, per usare l’espressione di Liberties.Eu. 

Perché Orban (o quelli come lui)? Perché fra le tante norme liberticide c’è anche quella che assegna ad un paese l’autorità per intervenire su un altro stato membro dell’Europa. Appunto: se il premier ungherese definisse un post – magari solo critico nei suoi confronti – come terrorista, avrà la facoltà di farlo cancellare. Anche se quel messaggio è ospitato su un provider italiano e non viola alcuna legge. 

Assegna ad un paese il potere di cancellare, censurare testi ed immagini. Già ma cosa si intende per “paese”. E qui c’è un altro obbrobrio: ogni singolo Stato membro potrà decidere, a sua discrezione, le “autorità nazionali competenti” in materia. Quelle che avranno il potere di attuare le misure, compreso l’ordine di cancellazione. Come saranno composte queste “autorità” lo deciderà ogni Stato per proprio conto, a suo piacimento: ci potranno essere commissioni, organismi ad hoc, con rappresentanti istituzionali. O soltanto burocrati nominati dai governi. Magari anche agenti di polizia. Come tutto fa presagire ci sarà in Ungheria. O in Polonia.

E ancora: sarà un altro passo versa la privatizzazione della giustizia perché il tutto avverrà senza un controllo giudiziario, una sentenza. Ai giudici ci si potrà rivolgere solo in caso di ricorso. La censura di un messaggio, insomma, non sarà decisa in prima istanza da un’aula di tribunale. Lo potrà fare l’esecutivo di Budapest, però.

Questo è il regolamento, varato senza un voto. AccessNow, una delle più grandi ed autorevoli organizzazioni mondiali a difesa dei diritti digitali – da sempre in prima fila nella battaglia contro questo mostro legislativo – non vuole darsi per vinta. E anche se si mostra sorpresa per le modalità del varo (senza un voto a Strasburgo), in un tweet dice che continuerà a battersi per migliorare le norme. Sperando che governi e forze politiche ci ripensino, almeno nelle “traduzioni” nazionali del regolamento. Ma ormai ci credono in pochi e, soprattutto, non sembrano esserci più tanti margini. E si entrerà così nell’era dell’#Orbandeletes, nell’epoca del “decide Orban”. In tutta Europa. 

* Fonte: Stefano Bocconetti, il manifesto

 

 

Foto di mohamed Hassan da Pixabay



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