Mali. Il giornalista francese Olivier Dubois rapito da un gruppo di Al-Qaeda

by Stefano Mauro * | 6 Maggio 2021 10:47

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Seduto per terra, le gambe incrociate in quella che sembra essere una tenda, vestito con un abito tradizionale rosa chiaro, la barba ben curata mentre fissa la telecamera e parla con voce ferma, anche se i movimenti delle dita e di una gamba sembrano riflettere un certo nervosismo.

In un breve video di una ventina di secondi, pubblicato su diversi social nella tarda serata di martedì, il giornalista francese Olivier Dubois afferma di «essere stato rapito dal Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani (Jnim)» dallo scorso 8 aprile e chiede «alla sua famiglia, ai suoi amici e alle autorità francesi di fare tutto ciò che è in loro potere per farlo rilasciare».

Dubois, giornalista indipendente che vive dal 2015 in Mali, è un reporter conosciuto da chi segue il Sahel, grazie ai suoi articoli legati alla galassia jihadista presente in Mali, e dal pubblico d’oltralpe. Collabora con il quotidiano Libération, la rivista Le Point e il canale televisivo France24.

Proprio nei suoi ultimi articoli, apparsi i primi di aprile, stava conducendo una serie di interviste sulle milizie del popolo Dogon che combattono contro la presenza jihadista nel Mali settentrionale ed era partito dalla città di Gao per intervistare un dirigente jihadista dello Jnim. La sua scomparsa non era nota dall’8 aprile, ma la sua famiglia e alcuni suoi amici erano a conoscenza del reportage, così come le autorità francesi, anche se non era chiaro se questa mancanza di informazioni fosse legata a un possibile rapimento o a una misura precauzionale dei jihadisti che doveva incontrare.

«Confermiamo la scomparsa in Mali di Olivier Dubois, siamo in contatto con la sua famiglia e con le autorità locali e stiamo effettuando le consuete verifiche tecniche e ricerche con i nostri militari della missione Barkhane», ha assicurato all’Afp un funzionario del ministero degli esteri francese.

Non c’erano più ostaggi francesi nel mondo dopo la liberazione, lo scorso ottobre 2020, della cooperante Sophie Pétronin. La 74enne Pétronin era stata rilasciata insieme al politico Soumaila Cissé (che nel frattempo è morto) e ai nostri due connazionali Nicola Chiacchio e Pier Luigi Maccalli, in cambio della liberazione di oltre 200 prigionieri, tra cui un certo numero di jihadisti, e del pagamento di un riscatto, nonostante le smentite dei governi interessati.

Al contrario, sempre nell’ottobre 2020, la Svizzera era stata informata che lo Jnim aveva giustiziato Béatrice Stockli, una missionaria evangelica rapita nel 2016 a Timbuktu, e lo scorso marzo il ministero degli esteri svizzero aveva comunicato che il suo corpo era stato finalmente trovato e identificato.

Il Mali è afflitto dal 2012 da una violenta ascesa jihadista condotta principalmente dal Jnim – affiliato ad Al-Qaeda e guidato da Iyad Ag Ghali – e dallo Stato islamico del Gran Sahara (Eigs) che hanno fatto precipitare il paese in una crisi di sicurezza e una spirale di violenza, estesa ai vicini Burkina Faso e Niger.

* Fonte: Stefano Mauro,  il manifesto[1]

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