Conferenza nazionale per Salute mentale, tra cura ed esclusione sociale

by Dario Stefano Dell'Aquila * | 27 Giugno 2021 9:09

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Si è chiusa la seconda Conferenza nazionale per Salute mentale, «Per una salute mentale di comunità», promossa dal ministero della Salute. Ben vent’anni dopo dalla prima che fu promossa, nel gennaio del 2001, dall’allora ministro Umberto Veronesi, e da un governo che di lì a poco avrebbe terminato il suo mandato. La Conferenza è stata aperta dal ministro Roberto Speranza con un intervento molto strutturato, quasi conclusivo. Il ministro ha ricordato le criticità, «le ampie diseguaglianze che ancora persistono fra regioni e all’interno delle regioni stesse nell’accesso alle cure, nell’offerta assistenziale, nelle risorse disponibili, nel ricorso ai Trattamenti Sanitari Obbligatori» e la carenza di risorse professionali ed economiche.

SPERANZA HA EVIDENZIATO la necessità di rafforzare la cultura dell’assistenza territoriale e la presa in carico integrata dei sofferenti «evitando – per quanto possibile – di allontanare i pazienti in strutture che rischiano di escluderli dalla società». Un segnale importante, non solo sul piano simbolico, è stato l’annuncio di un documento che sarà presentato in sede di Conferenza Stato- Regioni per il superamento della contenzione meccanica nei luoghi di cura della salute mentale.

L’INDICAZIONE DELLE priorità è chiara, meno definita la quantificazione di nuove risorse che secondo il ministero potrebbero essere individuate in tre modi: a) vincolare quota parte dei fondi 2021 delle Regioni al perseguimento degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale, b) utilizzo dei fondi dell’edilizia sanitaria per la riqualificazione di quelle strutture territoriali dedicate alla salute mentale, c) negoziazione dell’utilizzo dei fondi strutturali che potrebbero essere destinati alla salute mentale delle sette regioni del sud. Sullo sfondo il possibile utilizzo delle risorse del Pnrr. Come ha poi specificato Nerina Dirindin, consulente del ministro Speranza, nella giornata conclusiva, il tema centrale non è solo quello della carenza delle risorse, ma quello di «ripensarle e riallocarle» in termini economici e culturali. Il superamento della logica di «prestazioni» a favore di una costruzione di «percorsi» di inclusione, di prossimità e di comunità è fondamentale perché il sofferente psichico sia considerato una persona e non un oggetto da «mettere da qualche parte».

SE LA CONFERENZA DEL 2001 fu criticata per il mancato coinvolgimento degli operatori, questa ha sicuramente avuto l’intelligenza di una impostazione più partecipata, articolata in otto gruppi tematici in cui si sono susseguiti oltre un centinaio di contributi qualificati. Prevenzione, de-istituzionalizzazione, inclusione sociale, lavoro di equipe, percorsi di inserimento e buone pratiche, qualificazione dei servizi territoriali, rafforzamento del ruolo delle associazioni, perfezionamento del sistema informativo sulla salute mentale, attenzione ai migranti e alle persone prive della libertà personale, sono le parole chiave che hanno caratterizzato i lavori e che sono stati restituiti dai rapporteurs nella giornata conclusiva.

QUALE BILANCIO FARE, dunque? I lavori della Conferenza sono stati di indubbio interesse e di elevato spessore culturale e teorico, ma resta aperta la questione di come rendere questa visione strategica «concreta» e «uniforme» nei territori, specie alla luce dell’autonomia delle Regioni in materia sanitaria. Due le questioni aperte più urgenti. In primo luogo, come segnalato dagli stessi documenti ufficiali vi è una notevole estensione di strutture residenziali che per molti pazienti «sembrano rappresentare delle “case per la vita” piuttosto che dei luoghi di riabilitazione» e che oscillano «ambiguamente tra trattamento e riabilitazione, da un lato e custodia dall’altro». Il timore che la logica manicomiale riviva in nuove forme e in modo diffuso è dunque tutt’altro che infondato e strettamente legato alla capacità dei servizi territoriali di «presa in carico» del paziente. In secondo luogo, per centinaia di migliaia di utenti dei servizi parole come «presa in carico» e «inclusione», sono la forma di un desiderio neppure intravisto.

VALGA SU TUTTE la testimonianza di Maria Cristina Soldi, sorella di Andrea, morto asfissiato a Torino, nel 2015, durante un Tso effettuato da tre vigili e uno psichiatra, mentre inoffensivo era seduto su una panchina. Intervenendo in un gruppo di lavoro Maria Cristina, dopo aver ascoltato gli interventi sulle buone pratiche, con parole chiare, serene e consapevoli ha detto: «devo essere sincera, tutte cose che allargano il cuore (…) però per noi non c’è stato nulla di tutto questo (…) Noi siamo stati praticamente abbandonati, tutte cose che noi non abbiamo mai visto».

RESTA DUNQUE ATTUALE più che mai, l’insegnamento di Basaglia, capire quali spazi di utopia sono realizzabili nel concreto perché «soltanto nella lotta noi possiamo pensare di cambiare qualcosa di reale, la lotta in cui uno possa vedere quello che è il futuro, ma il futuro reale di una situazione che cambia».

* Fonte: Dario Stefano Dell’Aquila,  il manifesto[1]

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Oltre 800 mila assistiti, più della metà donne

Gli utenti assistiti dai servizi specialistici nel corso del 2019 sono stati 826.465 unità, il 54,3% donne. Le prestazioni erogate dai servizi territoriali 10.944.849 con una media di 14,2 prestazioni per utente. Complessivamente il 75,8% degli interventi è stato effettuato in sede, l’8,6% a domicilio e il resto in una sede esterna. Sempre nello stesso anno sono stati registrati 6.737 trattamenti sanitari obbligatori nei Spdc che hanno rappresentato il 7,0% dei ricoveri avvenuti nei reparti psichiatrici pubblici (96.510). Il numero complessivo di accessi al Pronto Soccorso per patologie psichiatriche 648.408, il 3,1% del numero totale di accessi al pronto soccorso a livello nazionale. Il costo medio annuo per residente dell’assistenza psichiatrica, sia territoriale che ospedaliera, è pari a € 65,4.

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