Diritti. La violenza nei tribunali civili, una lettera delle Donne in rete contro la violenza

by Donne in rete contro la violenza * | 6 Giugno 2021 9:37

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La lettera aperta chiede “un intervento urgente di tutte le Autorità competenti a tutela dei minori, dei loro sentimenti e delle loro relazioni, affinché sia posto termine alla pratica di mettere in Comunità i minori per rieducarli alla relazione con il padre rifiutato

La Corte di Strasburgo ha recentemente condannato l’Italia per una sentenza di assoluzione in un processo per stupro fondata su pregiudizi e stereotipi sessisti.

A 4 anni dalla condanna dell’Italia per il caso Talpis, la CEDU conferma purtroppo che nei tribunali persistono ostacoli al riconoscimento della violenza maschile sulle donne. Il pronunciamento della CEDU ci dà forza per avanzare la richiesta urgente. Vogliamo che ci sia un profondo cambiamento nelle aule dei tribunali italiani. Perché le discriminazioni avvengono nei processi penali ma anche nei processi civili.

D.i.Re[1] chiede un intervento urgente alle autorità competenti. Ricordiamo che lo Stato italiano ha ratificato la Convenzione di Istanbul il 19 giugno 2013 e la Convenzione dei diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza il 27 maggio 1991 e ha l’obbligo di rispettare e applicare leggi che tutelano donne e minori vittime di violenza.

Da tempo assistiamo, come centri antiviolenza della rete D.i.Re[1], a un continuo e incoerente quanto illegittimo mancato rispetto delle norme sottoscritte a vantaggio della teoria non riconosciuta dell’alienazione parentale, così detta PAS e dei costrutti affini quali sindrome della madre malevola, sindrome della madre simbiotica, giudicati “junk science” dalla comunità scientifica internazionale, che determinano il fenomeno della vittimizzazione secondaria, cui le donne e i minori vanno incontro quando svelano violenze familiari.

Nei tribunali civili sono state legittimate prassi che ignorano i diritti e le tutele delle vittime e mettono al centro la bigenitorialità, ripristinando così anche la centralità del padre, a prescindere dalle azioni violente che ha commesso e delle conseguenze di quelle violenze sui figli che ne sono stati testimoni.

La Corte di Cassazione si è più volte espressa contro questo costrutto con le ordinanze 7041 del 2012, 13274 del 2019 e recentemente con la 13217 del 17 maggio scorso che ha paragonato la alienazione parentale al Tätertyp o Colpa d’autore, una teoria che si diffuse nella Germania nazista in nome della quale si giudicava un imputato colpevole per ciò che era e non per ciò che aveva commesso, così come succede oggi alle madri tacciate di essere quelle che intralciano il rapporto padre-figli.

Nonostante diverse pronunce della Suprema Corte che cassano le sentenze che allontanano bambini e bambine dalla madre, basandosi su consulenze tecniche d’ufficio che danno questa interpretazione, anziché su fatti concreti, questo costrutto continua a trovare riconoscimento nei nostri tribunali.

Il GREVIO, l’organismo che monitora la corretta applicazione della Convenzione di Istanbul, nel Rapporto sull’Italia pubblicato nel 2020, ha sottolineato “l’elevato rischio comportato dall’utilizzo della nozione di alienazione parentale e dei relativi concetti in maniera tale da consentire che la violenza nei confronti delle donne e dei loro bambini non vengano identificate e/o siano messe in discussione, poiché ignorano la natura di genere della violenza e gli aspetti essenziali del benessere dei bambini”.

Lo Stato italiano, in applicazione delle leggi, deve tutelare i minori nella loro possibilità di esprimere sentimenti nei confronti di padri che hanno visto usare violenza verso le madri, che non vogliono incontrare perché impauriti dai loro comportamenti o contrariati per come si esprimono e agiscono anche nei loro confronti.

Per queste ragioni chiediamo un intervento urgente di tutte le Autorità competenti a tutela dei minori, dei loro sentimenti e delle loro relazioni, affinché sia posto termine alla pratica di mettere in Comunità i minori per rieducarli alla relazione con il padre rifiutato.

Non sono pochi i casi che la rete nazionale dei centri antiviolenza segue che testimoniano quanto espresso. L’ultimo in ordine di tempo seguito da un centro antiviolenza della nostra rete riguarda il forzato allontanamento di due bambini accuditi dalla madre perché si sono rifiutati di incontrare il padre.

La madre ha chiesto alle istituzioni di proteggere i figli ma il tribunale non ha guardato ai fatti messi in atto dal padre bensì ha richiamato la CTU, già incaricata in precedenza per una prima valutazione sul nucleo familiare, perché rinnovasse il suo lavoro alla luce delle questioni poste.

È così che è stata posta attenzione solo alle ritrosie dei minori a riprendere una relazione con il padre e non alle ragioni del rifiuto.

Oggi i bambini sono lontani dalla loro casa, dalle loro relazioni amicali e dalla madre.

Ribadiamo la necessità di un intervento urgente per evitare il continuo ripetersi di casi in cui i diritti e il benessere dei/lle bambini/e e delle loro madri che hanno subito violenza vengano nuovamente violati, questa volta da parte delle istituzioni che dovrebbero tutelarli.

Come previsto dalla Convenzione di Istanbul, chiediamo una formazione adeguata di tutti/e coloro che operano nel sistema giustizia, formazione che deve coinvolgere i centri antiviolenza ed essere incentrata sul contrasto della vittimizzazione secondaria e sul superamento degli stereotipi di genere che ancora condizionano l’operato dei tribunali penali, civili e minorili che affrontano casi di violenza maschile contro le donne e violenza assistita.

* Fonte: Donne in rete contro la violenza, il manifesto[2]

 

ph by D.i.Re Donne in Rete contro la violenza

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Endnotes:
  1. D.i.Re: http://d.i.re/
  2. il manifesto: https://ilmanifesto.it/

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2021/06/diritti-la-violenza-nei-tribunali-civili-una-lettera-delle-donne-in-rete-contro-la-violenza/