Mali. Il neopresidente Goïta tira dritto, la Francia congela la missione Barkhane

by Stefano Mauro * | 5 Giugno 2021 8:54

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Il neo-presidente ad interim e vero leader della transizione in Mali, il colonnello Assimi Goïta «manterrà la presidenza della Repubblica del Mali fino all’organizzazione delle future elezioni previste per marzo 2022». Una conferma giunta in questi giorni, dopo i due vertici straordinari della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e dell’Unione africana (Ua) che confermano la carica del neo-presidente Goïta e prescrivono «la sospensione del Mali da entrambe le istituzioni con effetto immediato» senza l’imposizione, al momento, di nuove sanzioni economiche.

Sia la Cedeao che l’Ua hanno deciso, al contrario di quanto avvenuto la scorsa estate con l’utilizzo di un embargo economico per richiedere una transizione guidata da civili, di «confermare il passaggio di potere ai militari grazie alle garanzie di Bamako sul proseguimento di una transizione democratica nel paese».

Viceversa, in attesa di maggiori garanzie relative «alla lotta contro il terrorismo e una transizione democratica» la Francia ha deciso da giovedì «di sospendere in via precauzionale e temporanea, le operazioni militari congiunte con le forze del Mali e tutte le attività della missione Barkhane» secondo una nota del ministero della Difesa francese.

Il colonnello Goïta ha giustificato la deposizione della scorsa settimana di Bah N’Daw, ex presidente ad interim, e del suo primo ministro Moctar Ouane, motivandola con la «necessità di preservare l’ordine nel paese sancito dalla Carta di Transizione» e indicando come punto di rottura «l’ultimo rimpasto di governo, non condiviso riguardo alle questioni legate a sicurezza e difesa».
La decisione di non imporre nuove sanzioni è legata alla volontà di non infierire sull’economia maliana, già soffocata dalla lotta al terrorismo e da una dura crisi sociale, per evitare, di non far «affondare definitivamente» il paese.

Come contropartita Goïta ha messo sul piatto la nomina di un primo ministro espressione della società civile e politica del paese nominando, questo mercoledì, Choguel Makalla Maiga, uno dei leader della principale coalizione politica maliana del Movimento 5 Giugno (M5 – Rfp), dichiarando che «proprio questa coalizione, esclusa dal precedente governo, aveva guidato nel 2020 le proteste contro l’ex presidente Ibrahim Boubakar Keita», poi deposto dai militari.

La maggiore incognita riguardo al futuro del paese, restano i rapporti con la Francia che in Mali vede impegnati oltre 5mila militari della missione anti-jihadista Barkhane.

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha dichiarato in un’intervista al Journal du Dimanche, che Parigi «non resterà al fianco di un paese dove non c’è più legittimità democratica o transizione, con seri dubbi riguardo al dialogo con i gruppi jihadisti». Il riferimento sarebbe legato alla posizione di Maiga e dei suoi legami con l’imam conservatore Mahmoud Dicko – anche lui appartenente al M5 – favorevole al dialogo con alcune fazioni jihadiste, ipotesi respinta categoricamente da Parigi.

Riguardo all’instabilità del paese e alla mancanza di garanzie legate alla sicurezza della popolazione Alioune Tine, direttore di Afrikacom Center ed esperto di Mali, ha dichiarato a Radio France International che «la partenza di Barkhane oggi potrebbe creare un terribile vuoto nel paese con conseguenze imprevedibili e che le decisioni prese da Cedeao e Ua non solo salvano la faccia, ma salvano anche la situazione in Mali in materia di sicurezza».

* Fonte: Stefano Mauro,  il manifesto[1]

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