I morti di Modena. Non è successo niente

I morti di Modena. Non è successo niente

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Marco Boattini, Salvatore Cuono Piscitelli, Slim Agrebi, Artur Iuzu, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez, Haitem Kedri, Ghazi Hadidi, Abdellah Ouarrad. Morti a seguito delle lotte dell’8 e 9 marzo 2020.

Per otto di loro, questione archiviata. Così ha deciso il Giudice Andrea Salvatore Romito del Tribunale di Modena, con ordinanza del 16 giugno 2021, nonostante parti civili, Garante nazionale e associazione Antigone. Questi ultimi non ammessi, a sancire che la difesa dei diritti di chi è detenuto non è rilevante, e chi se ne occupa non c’entra («soggetti privi della qualifica di persone offese in riferimento ai reati ipotizzati»).

Un’archiviazione contro cui, per più di un anno, in tanti abbiamo lottato. E che continuiamo, con ragione e tante ragioni, a non accettare.

Perché le responsabilità dell’Amministrazione penitenziaria e della catena di comando balzano agli occhi dai verbali, dalle dichiarazioni, dalle testimonianze, dalle inadempienze, dalle parole di quei detenuti – gli unici che davvero rischiano per la verità – che non sono stati creduti o nemmeno ascoltati. Polizia penitenziaria (non proprio uno sguardo terzo e imparziale che non ha bisogno di riscontri…) e Polizia di Stato bastano e avanzano, per la ricostruzione dei fatti («Relazioni redatte dalla Polizia penitenziaria e dalla Squadra Mobile della Questura modenese, ben sintetizzate nella richiesta in esame; e ad esse, pertanto, in ragione della accuratezza della struttura storico-narrativa e delle caratteristiche della presente fase procedimentale, pare lecito operarsi integrale riferimento»). Insomma, non servono altri riscontri. Le tante testimonianze sulle violenze ai danni dei detenuti sono voci rese mute, tacitate.

Ma anche volendo dire che la morte è sopraggiunta per overdose da farmaci e la violenza nulla conta – e noi non lo vogliamo dire, perché questo aspetto della vicenda, la violenza, doveva e deve essere oggetto di indagine – ciò che viene archiviato e su cui incredibilmente si rinuncia a indagare è comunque il fatto, così evidente, che la morte non è stata per overdose ma per omissione di soccorso. E per totale incuria per la tutela della vita dei detenuti, alcuni imbarcati in lunghi viaggi verso altre carceri senza visite mediche degne di questo nome, senza accertamenti.

Al Sant’Anna, la morte di Hafedh Chouchane, da sola, avrebbe dovuto garantire il prosieguo del procedimento: portato da alcuni compagni, preoccupati per le sue condizioni, davanti agli agenti sofferente ma ancora in vita, doveva e poteva essere soccorso («in data 08.03.2020 … alle ore 19:30 circa, durante la protesta dei detenuti, che hanno invaso l’intero istituto, alcuni detenuti non identificati trasportavano il nominato in oggetto fino al passo carraio interno della portineria centrale dell’istituto perché non stava bene, lasciandolo in terra»). Se di metadone si è trattato, allora il tempo dell’overdose è un tempo lungo, al contrario di quanto accade con l’eroina, e c’è tutto il modo di intervenire. L’antidoto per gli oppiacei, il naloxone, agisce in pochi secondi. Invece, dopo 50 minuti, un medico ne certifica la morte. È rimasto rantolante là, davanti al passo carraio del carcere, per 50 minuti. Chi non ha fatto ciò che doveva fare, in quei 50 minuti? E perché non c’era un piano di pronto intervento conoscendo il rischio overdose a seguito dell’appropriazione di una così ingente quantità di farmaci oppioidi? Una domanda ovvia, come ben spiega qui, nella sua intervista, l’avvocato Luca Sebastiani, tenace difensore di Hafedh Chouchane.

Ma il giudice di Modena non se ne cura. Ecco comparire, a protezione e tutela di agenti, medici, amministrazione, il rischio eccentrico. Che cos’è? Si tratta, per farla breve, di una gerarchia di cosa è importante e cosa no, in questo caso si afferma che la rivolta è un fatto eccezionale e abnorme, che la prima cosa da fare è sedarla e che in tutto ciò non c’è tempo per vedere se qualcuno sta morendo e, in questo caso, soccorrerlo. E poi insomma, se la sono voluta. («interruzione del vincolo protettivo gravante sul garante a fronte di condotte, assunte volontariamente dal soggetto tutelato (sic!), connotate, sotto i profili soggettivo e oggettivo, da imprevedibilità ed abnormità rispetto all’area della tutela approntata dalla norma genetica dell’obbligo»). Una rivolta, un fatto abnorme in un carcere? Davvero?

In conclusione, «l’opposizione formulata dai familiari di Chouchane Hafedh, pertanto, deve essere rigettata per insussistenza di alcuna ipotesi di responsabilità in capo ai soggetti intervenuti nel processo gestionale della sommossa».

Con buona pace della Procura e del Tribunale di Modena, però, la cosa non finisce qui.

Si va alla Corte Europea, e sarà una battaglia dura. La Corte Europea interviene laddove la giustizia nazionale non abbia fatto giustizia. E il giudice di Modena non l’ha fatta.

 

Susanna Ronconi, Comitato Verità e Giustizia per i morti in carcere

 



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