Mattanza in carcere. Cartabia in Parlamento: «Violenza inaudita e a freddo». Il testo integrale
La ministra di Giustizia riferisce in Parlamento sui fatti di Santa Maria Capua Vetere. Non una parola però sui codici identificativi. Mentre a Torino il pm chiede il rinvio a giudizio per tortura nel carcere delle Vallette
A Santa Maria Capua Vetere, così come vent’anni fa, nei giorni del G8 di Genova, sono stati consumati, per mano di servitori dello Stato, «atti di violenza inaudita». «Sono spie di qualcosa che non va». Forse mai prima d’ora un ministro di Giustizia aveva pronunciato in Parlamento parole di condanna tanto chiare e dure nei confronti delle divise violente. Ci ha messo del tempo, la Guardasigilli Marta Cartabia, a decidere di presentarsi alla Camera e al Senato per riferire sui fatti già noti da un anno, sui quali il deputato di +Europa Riccardo Magi aveva già presentato un’interrogazione parlamentare, e diventati uno scandalo pubblico mondiale con la diffusione dei video a fine giugno.
Cartabia lo ricorda, ma c’erano indagini in corso, spiega stendendo un velo pietoso sulla totale copertura ministeriale concessa agli aguzzini, a caldo, dal suo predecessore, il pentastellato Bonafede. Questa volta però la ministra non usa, per riferire in Parlamento, la ricostruzione fatta dal Dap ma quella del Gip che ha emesso 52 ordinanze di misure cautelari per 51 agenti e per il provveditore regionale della Campania. «In totale – riferisce Cartabia – sono 75 le unità di personale sospese dal Dap», compresi il direttore reggente e la vicedirettrice del carcere. Poi ci sono «altri indagati» sui quali «attendiamo gli sviluppi dell’indagine». Mentre «tutti i detenuti coinvolti sono stati trasferiti».
LA MINISTRA NON SA ancora, mentre parla a Montecitorio e più tardi a Palazzo Madama, che la procura di Torino proprio ieri ha chiesto il rinvio a giudizio di 25 operatori del carcere “Le Vallette”, compresi l’allora direttore e il capo della polizia penitenziaria, accusati a vario titolo delle violenze perpetrate su una decina di detenuti tra l’aprile 2017 e il novembre 2018. Tra i reati contestati, per la prima volta in un carcere, anche quello di tortura.
Dunque si potrebbe dire che il ritardo con cui Cartabia si è presentata in Parlamento è quasi un punto a suo favore. Perché, «bisogna aver visto», dice citando il costituente Calamandrei e invitando deputati e senatori ad entrare nelle carceri (loro che possono farlo con facilità). «Visitate un’articolazione mentale: è un’esperienza davvero indimenticabile», raccomanda spostando subito lo sguardo sulle carenze strutturali del sistema. Forse troppo presto.
ANCHE SE NON FA SCONTI: «Nessuna giustificazione, nessun attenuante». È «una ferita e un tradimento della Costituzione e della divisa», ripete. Come si evince anche dalle immagini, dice, «non vi era alcuna una sommossa in atto, non si trattava di una reazione necessitata da una situazione di rivolta. Si è trattato di violenza a freddo». «La perquisizione straordinaria del 6 aprile 2020 sarebbe stata disposta al di fuori dei casi consentiti dalla legge, eseguita senza alcun provvedimento del Direttore», se non un «dispositivo orale» emanato «a scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo, finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale di Polizia». La ricostruzione è ancora presa in prestito dal Gip, Sergio Enea. Durante il suo sopralluogo con il premier Draghi, Cartabia ha poi appreso che «molti degli agenti coinvolti normalmente non erano addetti alla sorveglianza, avevano altre funzioni».
La Guardasigilli riferisce anche del caso «di Lamine Hakimi, affetto da schizofrenia, morto il 4 maggio nella sezione Danubio del carcere» dopo essere stato vittima di violenza inaudita. Anche se il Gip non ha visto connessioni tra le botte e il decesso, da ricondurre invece secondo il giudice «all’assunzione di medicinali che, combinandosi con i farmaci assunti dal detenuto in ragione della terapia a lui prescritta, ha comportato un arresto cardiaco». Purtroppo su questa assurda morte del detenuto algerino il cui corpo è stato rinviato in patria ma non si sa dove, la ministra non va oltre il minimo sindacale.
COSÌ COME NON VA molto oltre quando individua «tre linee di priorità»: «strutture materiali, personale e formazione». Cartabia vuole più posti letto ma anche più «spazi di socialità», maggiore «videosorveglianza», più agenti, più operatori e più direttori (il testo completo del suo intervento). Giustamente, pone un accento particolare sulla formazione, «non solo quella iniziale, ma permanente». Perciò annuncia «un gruppo di lavoro impegnato ad elaborare un modello di formazione innovativo e moderno». «Mai più violenza», è il motto.
Peccato che non abbia pronunciato una parola riguardo ai codici identificativi per gli agenti, unico modo per agevolare il corso della giustizia, in questo e in altri casi. Peccato che, pur parlando di sovraffollamento, non abbia neppure accennato ad un provvedimento di condono di piccole pene (indulto) o, come chiede il neopresidente di +Europa Magi, a «una riforma della normativa a partire dai “fatti di lieve entità” che nel nostro Paese in sette casi su dieci portano in carcere» (nel testo della riforma Cartabia infatti solo un riferimento alla “tenuità del fatto”). Perché è per reati di lieve entità, come il piccolo spaccio, e in generale in violazione del testo unico sugli stupefacenti, che è in cella un terzo dei detenuti.
* Fonte: Eleonora Martini, il manifesto
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Santa Maria Capua Vetere, l’informativa della ministra di Giustizia alla Camera. Il testo completo
Marta Cartabia
Signor Presidente della Camera, On.li Deputati,
vi ringrazio di aver sollecitato il mio intervento in aula sui gravissimi fatti di Santa Maria Capua Vetere: in questo modo, mi è data la possibilità di condividere con tutto il Parlamento una ricostruzione dell’accaduto, ma anche qualche riflessione e, soprattutto, mi è data la possibilità di condividere alcune linee di intervento che stanno maturando al Ministero, per agire sulle cause profonde che hanno permesso – o almeno non hanno impedito – fatti così gravi.
E’ nostro dovere riflettere sulla contingenza – e sulle cause profonde – che hanno portato un anno fa ad un uso così smisurato e insensato della forza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il 21 luglio di 20 anni fa, a Genova, durante i giorni del G8, succedevano fatti di una violenza altrettanto inaudita.
Fatti di questa portata richiedono una risposta immediata da parte dell’autorità giudiziaria, che sta lavorando per far luce fino in fondo su quanto accaduto il 6 aprile del 2020 e per accertare tutte le responsabilità penali di coloro che sono stati coinvolti.
Ma fatti di questa portata sono spie di qualcosa che non va: dobbiamo indagare e intervenire con azioni di lungo periodo, perché non accada mai più.
Come già ho avuto modo di dire nel corso della visita, che ho svolto con il Presidente del Consiglio, la scorsa settimana quei gravissimi fatti – oltre a sollecitare la nostra più ferma condanna – reclamano un’indagine profonda, perché si conosca quanto successo in tutti gli istituti penitenziari nell’ultimo drammatico anno, dove la pandemia ha esasperato condizioni già difficili per il sovraffollamento, per la fatiscenza delle strutture, per la carenza del personale e tanto altro.
Occorre guardare in faccia tutti i problemi, spesso cronici, dei nostri istituti penitenziari, affinché non si ripetano atti di violenza né contro i detenuti, né contro gli agenti della polizia penitenziaria, tutto il personale. Il carcere è lo specchio della nostra società. Ed è un pezzo di Repubblica, che non possiamo rimuovere dallo sguardo e dalle coscienze.
Le violenze e le umiliazioni inflitte ai detenuti a SMCV recano una ferita gravissima alla dignità della persona, pietra angolare della nostra convivenza civile, come chiede la Costituzione, nata dalla storia di un popolo che ha conosciuto il disprezzo del valore della persona e si pone a scudo e difesa di tutti, specie di chi si trova in posizione di maggiore vulnerabilità. Anche l’uso della forza, l’uso della forza da parte di chi legittimamente lo detiene, sia sempre strumento di difesa, di difesa dei più deboli. Mai aggressione, mai violenza, mai sopruso. E mai sproporzionato.
***
Partiamo dai fatti accaduti, ormai direi noti a tutto il Paese, anche grazie al meritorio lavoro della stampa.
In relazione alla perquisizione straordinaria effettuata il 6 aprile dello scorso anno e che ha riguardato quasi tutte le sezioni del reparto “Nilo” del carcere “Francesco Uccella”, sono ora indagati a vario titolo dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere appartenenti al corpo di polizia penitenziaria e all’amministrazione penitenziaria. Le accuse sono delitti di concorso in torture pluriaggravate, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento, frode processuale e depistaggio.
Tutti i delitti risultavano aggravati dalla minorata difesa, dall’aver agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti alla funzione pubblica, con l’uso di armi, e dall’aver concorso nei delitti un numero di persone superiore alle cinque unità.
Notizie di stampa già dall’autunno dell’anno scorso riferivano di violenze e di indagini in atto all’interno di quell’istituto. E su questa vicenda, c’era già stata all’epoca un’interrogazione parlamentare. Su mia domanda, dall’Amministrazione penitenziaria mi hanno spiegato che più volte era stata chiesto all’autorità giudiziaria un riscontro a queste notizie, per poter effettuare anche proprie valutazioni, anche a fini disciplinari. Ma come ha spiegato nelle ultime settimane la stessa autorità giudiziaria procedente, le sollecitazioni del Dap non hanno mai ricevuto risposta per motivi di segreto investigativo. E’ per questo che- come spiegherò più avanti – tutte le iniziative prese dal Ministero sono successive al momento in cui l’autorità giudiziaria ha ritenuto di trasmetterci tutti gli atti ostensibili.
Ma torniamo ai fatti.
Abbiamo visto tutti quelle immagini: violenze su un detenuto in ginocchio; colpi ad un altro in carrozzella; più agenti armati, che si scagliavano contro singoli detenuti. Il tutto sotto la videocamera ben visibile che ha ripreso l’accaduto. Stando alle immagini non vi era alcuna una sommossa in atto. Non si trattava di una reazione necessitata da una situazione di rivolta. Si è trattato di violenza a freddo.
Quando ho avuto piena contezza della gravità delle contestazioni mosse e quando ho visto quelle immagini, ho parlato di “una ferità e un tradimento della Costituzione e della divisa”. Perché ad essere colpite sono certamente anzitutto le vittime, i detenuti. Ma a uscirne ferita è anche la polizia penitenziaria, come ho potuto constatare anche dalle testimonianze raccolte durante la visita a SMCV
Naturalmente prima di esprimere un giudizio definitivo occorre attendere tutte le verifiche da parte dell’autorità giudiziaria, che – ad esempio – solo per citare un elemento- ha ritenuto di annullare una misura cautelare emessa nei confronti di una persona, che era stata raggiunta da restrizioni per errore.
Secondo quanto emerge dagli atti giudiziari, la perquisizione straordinaria del 6 aprile sarebbe stata disposta al di fuori dei casi consentiti dalla legge, eseguita senza alcun provvedimento del Direttore del Carcere di Santa Maria Capua Vetere – unico titolare del relativo potere – e senza rispettare le forme e la motivazione imposte dalla legge.
Secondo il giudice, dunque, alla base della perquisizione straordinaria vi sarebbe stato «un provvedimento dispositivo orale – cito dall’ordinanza – emanato a scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo, finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale di Polizia Penitenziaria”. Il giorno prima c’era stata una rivolta in carcere. Nella sua ordinanza, il gip riporta alcune intercettazioni (“Era il minimo segnale per riprendersi l’istituto”) e ritiene che di fatto quella perquisizione non avesse “alcuna intenzione di ricercare strumenti atti all’offesa ovvero altri oggetti non detenibili, ma, per la quasi totalità dei casi – leggo testualmente dal provvedimento – mera copertura fittizia per la consumazione di condotte violente, contrarie alla dignità ed al pudore delle persone recluse».
Contestazioni di una gravità inaudita, a cui si sommano ipotesi di falso.
Un riferimento particolare merita il caso di Lamine Hakimi, affetto da schizofrenia morto il 4 maggio nella sezione Danubio del carcere. Il gip scrive che “le consulenze mediche non consentono di affermare che il decesso sia da ascrivere alle ferite riportate il 6 aprile, ma siano da ricondurre all’assunzione di medicinali che, combinandosi con i farmaci assunti dal detenuto in ragione della terapia a lui prescritta ha comportato un arresto cardiaco.
1.
In relazione alle contestazioni elevate, il competente Ufficio della Direzione Generale del Personale e delle Risorse del Ministero ha proceduto all’esame delle posizioni degli operatori penitenziari a vario titolo coinvolti nel procedimento penale.
Le unità di personale raggiunte complessivamente da misure interdittive sono state n. 52. Tra queste vi sono due unità di Polizia Penitenziaria cessate dal servizio per le quali non sono stati quindi adottati provvedimenti amministrativi.
Per le altre restanti 50 persone – tra cui il Provveditore Regionale – sono state emesse misure interdittive con la seguente ripartizione: n. 7 misure cautelari applicative della custodia in carcere; n. 17 misure cautelari applicative degli arresti domiciliari; n.3 misure cautelari coercitive dell’obbligo di dimora nel comune di residenza nei confronti di tre poliziotti tutti in servizio presso l’istituto sammaritano; n.23 misure cautelari interdittive della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio ricoperto per un periodo variabile dai 5 ai 9 mesi.
Tutte le unità sopra indicate sono state immediatamente sospese dal servizio. Le 3 unità sottoposte all’obbligo di dimora sono state sospese in via cautelare secondo la legislazione vigente (art. 7 comma 2 del d.lgs. 449/92).
Tra questi provvedimenti va ricompreso il provvedimento di sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio rivestito per la durata di mesi otto, per i delitti di favoreggiamento, depistaggio e falso ideologico aggravato, a mia firma, adottato nei confronti del dirigente generale Antonio Fullone, Provveditore regionale per la Campania, (ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 91, comma 1 e 123 comma 1 del T. U. 10 gennaio 1957 n. 3).
A seguire, il competente Ufficio della Direzione Generale del Personale e delle Risorse ha anche avviato un’attenta analisi delle singole posizioni degli operatori penitenziari che, pur non essendo stati destinatari di misure interdittive, dovevano ritenersi indiziati dei delitti descritti nell’ordinanza. Tale analisi si è resa necessaria per comprendere se e a che titolo il personale indagato fosse coinvolto negli atti penalmente rilevanti sopra menzionati: all’esito di tale compiuta indagine sono stati emanati altri 23 provvedimenti di sospensione cautelare facoltativa, (ex art. 7 comma 2 del d.lgs. 449/92), nei confronti di personale di Polizia Penitenziaria.
A ciò si aggiungevano i due provvedimenti di sospensione nei confronti del direttore reggente pro tempore di S. Maria Capua Vetere e del vice-direttore. La direttrice dell’istituto non era presente il giorno dei fatti e non è indagata.
Successivamente, con ordinanza n. 4193/2020 R.G.I.P. emessa il 7 luglio 2021 dall’Ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, è stata revocata la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta a carico di uno degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso l’istituto sammaritano. La revoca è dovuto a un errore di identificazione dell’indagato. Pertanto, l’amministrazione a sua volta ha provveduto a revocare il precedente provvedimento di sospensione obbligatoria dal servizio, (ex art. 7, comma 1, del d.lgs. 449/92, con conseguente reintegra in servizio. Dall’ordinanza di scarcerazione è emersa la partecipazione attiva agli eventi di un’altra unità di Polizia Penitenziaria che, pertanto, è stata sospesa dal servizio in via cautelativa ex art 7 comma 2 del d.lgs. 449/92.
Nei confronti di altro appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, il Tribunale del Riesame di Napoli, con ordinanza del 15 luglio 2021 (R.I.M.C. 2757/2021), annullava la precedente ordinanza del GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 253/2020 che imponeva la misura personale cautelare coercitiva e ne caducava gli effetti. Quanto alla posizione di quest’ultimo indagato, il competente Ufficio della Direzione Generale del Personale e delle Risorse valuterà l’adozione dei provvedimenti amministrativi di competenza all’esito dell’acquisizione delle motivazioni poste a base del provvedimento di accoglimento dell’istanza di riesame.
Pertanto, allo stato, il totale complessivo delle unità di personale dell’Amministrazione sospese a vario titolo è pari a n. 75. Rimangono altri indagati, per i quali il Gip ha specificato che non v’è certezza della loro presenza. Per questo ha respinto la richiesta di misura cautelare. Su questi ultimi, attendiamo gli sviluppi dell’indagine, prima di altre valutazioni.
2.
In ordine alla posizione dei detenuti coinvolti dai gravi fatti di S. Maria Capua Vetere, il Provveditorato regionale per la Campania già in data 08.04.2020 disponeva il trasferimento, per motivi di sicurezza, di n. 7 detenuti, di cui uno extra-distretto su indicazione della Direzione generale detenuti e trattamento ed altri sei intra-distretto. Altri quattro detenuti venivano trasferiti, sempre per motivi di sicurezza, presso sedi extra campane.
Infine, la competente Direzione Generale dei detenuti e del trattamento, con provvedimento n. 24536 del 28 giugno 2021 su richiesta della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, disponeva il trasferimento immediato di 42 detenuti “vittime dei pestaggi” (n. 40 Media Sicurezza e n. 2 Alta Sicurezza) in istituti extra-distretto. Un trasferimento che nasce anche su richiesta specifica della Procura.
L’iniziale richiesta di trasferimento immediato riguardava 44 detenuti: tuttavia, un detenuto era stato già precedentemente trasferito presso la Casa Circondariale di Frosinone con provvedimento del 09.04.21, mentre un altro, non risultava presente nel sistema SIAP/AFIS. Di tale ultima “assenza” dal sistema informatico veniva informata la Procura procedente.
***
Davanti alle contestazioni mosse dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere a personale della polizia penitenziaria e davanti allo shock che in tutto il mondo hanno provocato le immagini di quei fatti di un anno fa, il giorno stesso in cui ho visto i video ho voluto immediatamente convocare al Ministero una riunione straordinaria, con i due sottosegretari, con i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, con il garante nazionale delle persone private della libertà. Era chiaro infatti che non ci si potesse fermare alla condanna dei fatti. E di sicuro non era e non è questa la mia intenzione.
Era altrettanto chiaro come fosse un’urgenza ricostruire la catena delle informazioni, che si sono succedute; ma anche allargare la prospettiva, per una ricognizione accurata di quanto successo non solo in quel carcere, ma in tutti gli istituti penitenziari nell’ultimo anno. Notizie e denunce, che richiedono seri approfondimenti, arrivano in vario modo anche da altre strutture.
Contemporaneamente, è stato per me prioritario passare ad individuare le cause profonde di quello che evidentemente non ha funzionato. Perché se sono successi fatti come quelli di cui oggi parliamo in quest’aula è perché tante, troppe cose non hanno funzionato. E questa è una sconfitta di tutti noi, per riprendere le parole del presidente Draghi. Al di là delle specifiche responsabilità penali, che sono sempre personali e che non possono e non devono mai ricadere su altri.
Nei giorni successivi ho convocato una riunione con i rappresentanti sindacali dell’amministrazione penitenziaria e ho voluto confrontarmi con tutti i provveditori.
Occorre far luce su quanto accaduto nelle carceri italiane nell’ultimo anno, a cominciare dalle rivolte dei detenuti e dalle conseguenti azioni poste in essere dagli operatori penitenziari. Per questo, è stata costituita una commissione ispettiva interna. Chi è in un carcere è nelle mani dello Stato. E dai rappresentanti di quello Stato deve sapere di poter essere trattato nel rispetto di tutte le garanzie.
La Commissione ispettiva visiterà tutti gli istituti penitenziari interessati dalle manifestazioni di protesta o da denunce o segnalazioni inerenti ai gravi eventi occorsi nel marzo del 2020. Il suo mandato consiste nell’approfondire la dinamica dei fatti, al fine di accertare la legittimità e la correttezza di ogni iniziativa adottata. L’amministrazione penitenziaria deve essere capace di indagare al suo interno. Deve capire ed essere essa stessa in grado di portare alla luce eventuali violazioni. I fatti di Santa Maria Capua Vetere, emersi solo a seguito degli atti dell’autorità giudiziaria denotano che questa capacità di indagine interna è mancata almeno in questa occasione.
Occorre indagare sugli episodi critici, ma occorre anche andare alla ricerca delle cause più profonde di quanto accaduto e creare le condizioni materiali e normative per evitare ogni ulteriore nuova violenza.
Il confronto con la polizia penitenziaria, il personale, i provveditori, il Garante, e la stessa visita in loco già ci stanno offrendo alcuni elementi di riflessione.
E’ stato ad esempio segnalato come tra il personale chiamato ad intervenire a Santa maria Capua Vetere ci fossero anche agenti che da diversi anni svolgevano altro genere di incarico; è stato da più parte ricordata anche l’età avanzata di alcuni, e più in generale è stata segnalato un innalzamento dell’età media del corpo della polizia penitenziaria, che non ha un adeguato turn over. Tutti gli interlocutori hanno poi richiamato anche la fortissima tensione che in quei mesi di pandemia si viveva in tutti gli istituti penitenziari: un’indagine che voglia cogliere le cause profonde di quanto successo non può non tener conto anche di questi spunti.
Se vogliamo allora farci carico fino in fondo dei mali del carcere, perché non si ripetano mai più episodi di violenza, occorre preparare una strategia che operi su più livelli ed in particolare agendo sulle strutture materiali, sul personale e sulla sua formazione. Sarebbe molto più semplice per tutti parlare genericamente di “mele marce” e andare avanti. Se le responsabilità penali – torno a ripetere – sono sempre e solo individuali e non possono ricadere su nessun altro – men che meno sull’intero corpo dell’amministrazione penitenziaria – le responsabilità “politiche” dell’accaduto risiedono anche nella disattenzione con cui per anni si è lasciato che peggiorassero le condizioni di chi si trova in carcere e di chi in carcere ogni giorno lavora.
Anzitutto le strutture materiali. Costituiscono con ogni evidenza una dimensione essenziale, perché vivere in un ambiente degradato di sicuro non aiuta nell’impegnativo percorso di risocializzazione dei detenuti e d’altro canto rende ancor più gravoso il lavoro di chi ogni mattina supera i cancelli delle carceri italiane per svolgere un servizio delicatissimo, prezioso e difficile. A Santa maria capua Vetere manca l’acqua corrente. Il sovraffollamento complica ancor di più la quotidianità. Questi dati non sono giustificazione o attenuante a quanto commesso. Ma sono dati che fanno riflettere. Sono problemi da risolvere.
Per quanto riguarda l’edilizia, nell’ambito dei fondi complementari al PNRR, è stata prevista la realizzazione di 8 nuovi padiglioni. Tra gli istituti sui quali dovranno insistere le nuove costruzioni, c’è anche Santa Maria Capua Vetere, insieme a Rovigo; Vigevano, Viterbo, Civitavecchia, Perugia, Ferrara e Reggio Calabria.
L’intervento di ampliamento nel caso di S. Maria Capua Vetere, studiato come gli altri dalla commissione sull’architettura penitenziaria, è previsto in un’area verde non attrezzata e fino ad ora non utilizzata. È un ampliamento che riguarda tanto i posti disponibili – le camere – quanto gli spazi trattamentali: questo è un aspetto su cui abbiamo corretto precedenti progetti. Nuove carceri, nuovi spazi – che ci saranno, voglio dire anche a chi li invoca – non può significare solo posti letto.
Più in generale, per il triennio 2021-2023, abbiamo già previsto circa 381 milioni per le ristrutturazioni e l’ampliamento degli spazi. Si tratta di fondi ordinari, a cui contiamo di aggiungere anche 8,5 milioni che risultano iscritti nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture per quest’anno, quasi altrettanti per l’anno 2022 e circa 20,5 per l’anno 2023.
Queste strutture – come ho già avuto modo di dire – andranno ora anche dotate di una capillare videosorveglianza, a garanzia di tutti. E nella riunione con i provveditori degli istituti regionali, è stato toccato anche il tema del codice identificativo per gli agenti. Tema sui sto facendo una riflessione.
Per offrire risposte immediate ed indifferibili alle domande che la vita di tutti i giorni all’interno dei 190 istituti penitenziari reclama, occorre inoltre rimediare alla grave diminuzione del personale che si è verificata nel corso degli anni, provvedendo immediatamente a nuove assunzioni e, possibilmente, ad incrementare l’organico della polizia penitenziaria, senza dimenticare gli educatori e tutto il personale dell’esecuzione penale esterna. Le scoperture di personale sono significative per tutte le categorie, ma, viste le cifre, per la Polizia penitenziaria, i concorsi in atto e quelli già programmati non saranno sufficienti nemmeno a coprire il turn over.
A breve, per il personale della Polizia Penitenziaria si concluderà il 178° corso di formazione, per 938 allievi agenti, vincitori del concorso. Sono terminate le visite mediche e attitudinali per 650 allievi agenti assunti. Sono poi in atto le prove di efficienza fisica per 976 allievi agenti, dopo il concorso pubblico. Nell’arco del quinquennio 2021 – 2025, oltre il turn over, è altresì autorizzata l’assunzione straordinaria di complessive 2804 unità. Sono poi stati banditi molteplici concorsi interni straordinari per titoli, per un totale di 3 692 posti. Per i funzionari mediatori culturali, si stanno correggendo gli elaborati dei 139 candidati che hanno partecipato alle prove scritte dell’ultimo concorso. Tra gli altri- e non li cito tutti – voglio solo ricordare il concorso per 45 posti di dirigenti di istituto penitenziario: dal 13 luglio è iniziata la prova preselettiva.
Questa vicenda di Santa Maria Capua Vetere ha confermato poi con la sua drammaticità l’importanza della formazione, che fin dal mio insediamento – nei primi colloqui con i vertici Dap e con il garante – ho segnalato come priorità.
Formazione per tutto il personale e, in particolare, per quello della Polizia penitenziaria, che svolge un compito complesso e delicatissimo. Ma voglio dire esplicitamente che è il corpo stesso della Polizia penitenziaria il primo a sollecitare un’adeguata e più costante formazione. Formazione significa preparazione per una gestione corretta di situazioni complesse, ma formazione significa anche scatto culturale verso la piena consapevolezza dell’autentico e delicato compito affidato al Corpo della Polizia Penitenziaria.
Chi è intervenuto quel 6 aprile 2020 aveva ricevuto una formazione adeguata? La formazione è un aspetto decisivo e per questo ho deciso sin dall’inizio del mio ministero di occuparmene in prima persona, senza delegarla ai sottosegretari.
La Polizia penitenziaria infatti, oltre all’esercizio della tradizionale funzione della vigilanza e della custodia, raccoglie anche il compito di accompagnare il detenuto nel percorso rieducativo, come vuole la nostra Costituzione. Il lavoro in carcere non può essere lasciato all’improvvisazione o alle doti personali. Occorre professionalità e per acquisirla è necessario investire molto sulla formazione permanente.
Per questa ragione, sono in procinto di istituire un gruppo di lavoro impegnato, secondo un approccio multidisciplinare, ad elaborare un modello di formazione innovativo e moderno, che privilegi un percorso capace di trovare una sintesi equilibrata ed efficace tra le conoscenze teorico-pratiche indispensabili per un consapevole e corretto svolgimento dei compiti istituzionali propri di ciascun ruolo e la preparazione tecnico-operativa. Solo così riusciremo davvero a realizzare quanto scandito a Santa Maria Capua Vetere. Mai più violenza.
In quel carcere, ho incontrato diversi detenuti. Ho chiesto loro le condizioni della loro detenzione; ho potuto personalmente visitare anche il reparto dove si sono consumati i fatti di cui abbiamo parlato. Ho fatto tesoro di quanto anche gli agenti della polizia penitenziaria mi hanno raccontato. Uno soprattutto mi ha colpito: mi ha ripetuto più volte che lui non è un “picchiatore”- ha usato proprio questa parola, ma lo stesso padre amorevole che ogni sera torna in famiglia, anche se faceva fatica a farsi credere. A fronte dell’onda emotiva innescata dai fatti di Santa Maria, sono stati registrati anche gravi episodi di intimidazioni nei confronti di agenti della Polizia penitenziaria. Questo non può e non deve mai succedere.
Proprio a tutela del fondamentale lavoro che svolgono, bisogna fare luce fino in fondo e a tutti i livelli su cosa sia successo a Santa Maria Capua Vetere, ma anche in tutte le carceri italiane, in questo drammatico anno di pandemia, rivolte, tensioni.
I fatti di Santa Maria Capua Vetere hanno sollevato un velo sulle durissime condizioni delle carceri italiane. Il Governo ha visto, anche con la visita in prima persona del Presidente del Consiglio, i problemi del carcere e non vuole dimenticare.
Roma, 21 luglio 2021
ph by Fratello.Gracco, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
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