Carcere, interrogazione parlamentare alla ministra: «La morte di Lamine Hakimi va chiarita»

by Eleonora Martini * | 4 Agosto 2021 9:27

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Carcere . La «mattanza» di Santa Maria Capua Vetere

Un’interrogazione parlamentare a risposta scritta alla ministra di Giustizia Marta Cartabia per fare luce sulla morte di un detenuto che sta per finire nel dimenticatoio, come se quella persona non fosse deceduta mentre era nelle mani dello Stato, come fosse uno di quei poveri cristi ingoiati dal mare nel mezzo di una traversata. È la morte di Lamine Hakimi, deceduto il 4 maggio 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, un mese dopo essere «stato vittima delle gravissime azioni di violenza commesse dagli agenti di polizia penitenziaria in occasione della “perquisizione”» del 6 aprile 2020. A presentarla è stato il deputato Riccardo Magi, presidente di +Europa.

Di Hakimi si sa poco: che è nato in Algeria il 26 giugno 1992, che forse soffriva di patologie psichiatriche, e che, dopo l’autopsia effettuata «presso l’istituto di Medicina legale dell’Ospedale civile di Caserta», come afferma il Dap nella risposta inviata al Garante dei detenuti campano Samuele Ciambriello, la sua salma è stata rispedita in patria. Dove esattamente? Chi l’ha richiesta? In che modo è avvenuto il rimpatrio? A chi è stato riconsegnato il corpo? L’autopsia è «stata effettuata alla presenza di un difensore delle persone offese oppure no»? E dopo quel 6 aprile è «stato sottoposto a visita medica, e di quali patologie soffriva»? Magi pone queste domande alla Guardasigilli e chiede anche «se era prescritta una terapia già prima del 6 aprile e quale fosse», e «se la terapia somministrata ad Hakimi, dopo il 6 aprile, venisse dallo stesso assunta “a vista”, come stabilito dai protocolli».

Il calvario dell’ultimo mese di Hakimi viene ripercorso da Magi che, citando l’ordinanza del Gip, scrive: «Il detenuto sarebbe stato prelevato dalla cella e picchiato da diversi agenti lungo il percorso verso il Reparto Danubio. Stando alle testimonianze dei detenuti che hanno assistito alle violenze, Hakimi avrebbe subìto dagli agenti calci in bocca, pugni, bastonate e manganellate, e l’aggressione sarebbe continuata anche nell’area passeggio denominata “il fosso”». E ancora: «Altri detenuti hanno riportato alla stampa le seguenti dichiarazioni: “Gli davano calci, cazzotti e manganelli. E l’altro poliziotto mi lasciò a me e andò dietro a dire: “No, no, no, a calci no, non lo uccidiamo perché se no lo paghiamo” e: “È stato picchiato da un agente il quale ha schiacciato la testa di Lamine contro il pavimento, facendogli uscire sangue da occhi, naso e bocca e poi lo colpiva alle costole e gambe».

Dopo le violenze, ricostruisce il deputato, «Lamine sarebbe rimasto sei giorni in cella con un altro detenuto, per poi essere trasferito in un’altra cella, da solo, con la sola compagnia di un piantone per tre ore al giorno. Dopo il 1° maggio sarebbe stato trasferito presso la cella 19 del primo piano del Reparto Danubio; in questo periodo – dal 6 aprile al 4 maggio – Hakimi avrebbe richiesto più volte la presenza fissa di un piantone e lamentato forti dolori alla nuca».

La sua morte è stata stralciata, dal Gip, dal fascicolo sulla «mattanza». E il suo nome ormai è sparito anche dal database del Dap.

* Fonte: Eleonora Martini, il manifesto[1]

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