Patagonia, i mapuche bloccano le imprese petrolifere: «Danni enormi»

Patagonia, i mapuche bloccano le imprese petrolifere: «Danni enormi»

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Argentina. Protesta delle comunità indigene contro il fracking e la devastazione della natura. Nella regione della Vaca Muerta scosse di terremoto, scorie e crisi idrica a causa delle perforazioni

Nella regione di Vaca Muerta – un nome, un programma – le imprese petrolifere regnano sovrane. Il territorio, grande quasi come il Belgio (30mila chilometri tra le province di Neuquén e Río Negro, nella Patagonia argentina) è non a caso considerato la quarta riserva al mondo di shale oil e la seconda di shale gas, estratti tramite fracking, la tecnica ad alto impatto ambientale della fratturazione idraulica.

A farne le spese sono le comunità mapuche, che, stanche di aspettare una risposta dalle istituzioni alle loro denunce sullo scempio ambientale in corso, sono arrivate a bloccare martedì, per diverse ore, le vie di accesso a quattro giacimenti (Fortín de Piedra, Loma la Lata, Tratayén e Puesto Hernández).

UN’AZIONE MIRATA – come si legge in un comunicato della Confederazione mapuche di Neuquén – a «portare alla luce, ancora una volta e con urgenza, gli enormi danni inferti alla natura e alla popolazione della regione dall’industria degli idrocarburi e dal fracking», in nome di «un progresso che è solo per loro».

Decise a non tollerare ulteriormente «tanto abuso di potere», le comunità rivendicano la necessità di «porre un freno al disastro che lasciano al loro passaggio i giacimenti, le torri di perforazione, le discariche». Un disastro che investe «territori, acqua, aria e il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti».

Le comunità chiedono allora l’apertura di un canale di dialogo con l’impresa petrolifera statale Ypf, accusata, come spiega il coordinatore della Confederazione mapuche di Neuquén Jorge Nawel, di violare «permanentemente tutte le norme ambientali in difesa della nostra salute e della nostra sicurezza» e di rilasciare «concessioni in maniera indiscriminata», con la «complicità della giustizia, del governo provinciale e di quello nazionale».

Un governo, quello di Alberto Fernández, di cui sono ben noti, del resto, i piani per rafforzare l’estrattivismo nel paese, tanto più di fronte alla necessità di rimpinguare le esangui casse dello stato. Nella regione di Vaca Muerta (e non solo) le conseguenze, denuncia Nawel, sono tuttavia devastanti: «Scosse sismiche, scorie che si accumulano a tonnellate contaminando acqua, aria e suoli e una crisi idrica provocata da un’industria che consuma milioni di litri d’acqua».

PIÙ SPECIFICAMENTE, tra i dieci e i trenta milioni di litri d’acqua per ciascuna delle 1.100 perforazioni in corso a Vaca Muerta. «Immaginate – dice – quale devastazione stia soffrendo l’intero ecosistema».

A fianco dei mapuche si sono schierate, in un atto di protesta dinanzi alla sede provinciale della Ypf, diverse organizzazioni sociali, chiedendo «che termini la dittatura di un’industria che contamina e uccide», secondo le parole di Noemí Labrune, dirigente dell’Assemblea permanente per i diritti umani (Apdh) di Neuquén, e che si avvii, come evidenzia Susana Dellariva dell’Associazione dei lavoratori dell’educazione di Neuquén, una riconversione produttiva della regione, in maniera «che non dipenda tutto dall’attività petrolifera».

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto

 

ph by Prensa Obrera, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons



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