I dieci anni di Occupy Wall Street, rivoluzione della protesta

I dieci anni di Occupy Wall Street, rivoluzione della protesta

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Stati uniti. Il 17 settembre 2011 cominciava l’occupazione di Zuccotti Park a New York e la ribellione contro «l’1%». Un esperimento di anticapitalismo nel cuore di Wall Street

NEW YORK. La mattina del 17 settembre 2011 non era presente nessun media quando un esercito disordinato di 200 manifestanti si è accampato nel cuore del distretto finanziario di Manhattan in una piazza semi sconosciuta, Zuccotti Park. Cominciava così Occupy Wall Street, un movimento durato due mesi ma che ha politicizzato un’intera generazione, quella cresciuta sotto George W. Bush, nel dopo 11 settembre, riponendo tutte le sue speranze in Barack Obama e venendone delusi dopo la sua risposta alla crisi finanziaria del 2008, che a sua volta aveva messo in discussione la bontà dell’approccio capitalista americano.

IN POCHI GIORNI attorno a Zuccotti Park si radunarono i media di tutto il mondo per raccontare un fenomeno politico e sociale che nel giro di due mesi si diffuse globalmente, portando in primo piano temi come la sostenibilità, la giustizia sociale, l’economia e le sue diseguaglianze. Grazie ad Ows in America si iniziò a parlare apertamente di anticapitalismo, spianando la strada al successo di Bernie Sanders di cui, pochi anni dopo, gli occupiers curarono la campagna per le primarie democratiche.
Ows riuscì ad ottenere questo risultato grazie ad una campagna di comunicazione mai vista prima, capace di sfruttare sia i social media, e tutti gli strumenti che si stavano affacciando in quel momento, che quelli tradizionali.

Dall’Occupy Wall Street Journal, un giornale stampato e distribuito gratuitamente, al livestreaming delle proteste che ancora non aveva un linguaggio codificato: a codificarlo ci pensarono i livestreamer di Occupy. Lo strumento per antonomasia di Ows era Twitter, come era accaduto con le primavere arabe a cui Ows si ispirava dichiaratamente, ed anche su Twitter i live tweet degli eventi e delle manifestazioni hanno definito il loro modo di raccontare la protesta. A cambiare furono le stesse modalità delle manifestazioni.

«Avevamo capito che la polizia avrebbe sempre cercato di fare arresti di massa, così abbiamo deciso di non fare più massa», racconta Lauren, oggi 33enne. «Per il primo maggio, che abbiamo organizzato nonostante l’occupazione fosse finita, abbiamo pianificato 99 azioni in 99 luoghi diversi, in modo da essere noi a sparpagliare la polizia».

99 COME IL 99% di uno degli slogan più famosi del movimento, che sottolineava come l’1% della popolazione stesse sfruttando il resto del mondo.
Il successo di Ows si deve al fatto che il mondo, provato dalla crisi economica e dalla recessione globale di quegli anni, era pronto a recepire un messaggio che a sua volta Ows era bravo a veicolare – nonostante la decisione di non caratterizzarlo come univoco lo rendesse spiazzante. «Un messaggio univoco è facile da insabbiare: si fa un’unica concessione e così sparisce. Noi volevamo dire che bisognava cambiare tutto il sistema, non dei dettagli», racconta Mark, oggi 37enne, che continua a insegnare matematica e che 10 anni fa era uno degli addetti al media center – «La prima personalità che ci ha riconosciuti come soggetto politico è stata Susan Sarandon, due giorni dopo l’occupazione era a Zuccotti park. Nei due mesi successivi sono passati tutti, anche il vostro Saviano. De Blasio, ben prima di diventare sindaco, David Graeber, The Yes Man, attori, intellettuali, professori, alcuni prima tenevano i loro seminari, poi si sedevano per terra e partecipavano a quelli degli altri. C’era gente di Wall Street che quando finiva di lavorare veniva da noi per capire meglio. Quando il sindaco Bloomberg ha tolto la luce a Zuccotti park i generatori ci sono stati donati da alcuni agenti di borsa».

NELLA PIAZZA OCCUPATA dalle tende dove gli occupiers passavano la notte c’era spazio anche per una biblioteca, un ambulatorio medico, uno sportello legale, il supporto psicologico, la mensa del popolo, un guardaroba uomo/donna con tutte le taglie, dei dispensatori di sigarette già rollate. La sensazione che si aveva entrando a Zuccotti Park era che i propri bisogni all’interno di quel perimetro venissero soddisfatti: si poteva trovare di tutto, gratuitamente, grazie alle risorse di Ows.
Per evitare di essere sgomberati per ragioni sanitarie la piazza veniva pulita in continuazione da squadre che si davano il cambio e la mensa prendeva sempre il massimo del punteggio dal Dipartimento municipale che ne ispezionava le condizioni igienico sanitarie.

A ZUCCOTTI PARK dormivano per lo più giovani, ma durante il giorno per portare avanti tutte le attività si avvicendavano professionisti di ogni tipo: cuochi, medici, psicologi, ma anche barbieri, parrucchieri e sarte per cambiare il look degli occupiers e renderli indistinguibili dagli agenti di borsa a cui si mischiavano per le azioni di disturbo volte a ritardare l’apertura della Borsa.
Nonostante l’opposizione dura del sindaco Bloomberg Ows riceveva solidarietà e aiuti; quando dopo 2 mesi di occupazione la piazza venne sgomberata nottetempo dalla polizia accorsero media, attivisti, sostenitori. «Il miliardario Bloomberg non poteva sopportare che nel cuore di Wall Street esistesse l’esperimento di anticapitalismo più sfacciato mai visto in America – dice Mark – Pensava di schiacciarlo sgomberando Zuccotti Park, ma c’è uno slogan che vale ora come allora: non si può sgomberare un’idea».

* Fonte: Marina Catucci, il manifesto

 

ph by David Shankbone, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons



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