Myriam Miller, Black Lives Matter: «Basta con il sistema dell’uomo bianco»

by Giovanna Branca * | 26 Settembre 2021 9:12

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Intervista. Ho fatto esperienza in prima persona della diseguaglianza, della mancanza di giustizia. Con il Covid siamo stati lasciati ancora più indietro come donne, studenti e lavoratori

Brasiliana, con una parte della famiglia negli Stati uniti, dove ha vissuto, la ventenne Myriam Miller ora vive in Italia dove studia scienze politiche. Attivista di Black Lives Matter – l’anno scorso è stata una delle organizzatrici della manifestazione di protesta contro l’omicidio di George Floyd a Roma – è fra le donne intervenute oggi sul palco di Piazza del popolo.

Cosa la porta in piazza?
Se sono diventata un’attivista è perché io – e i miei amici, le persone che mi circondano – ho fatto esperienza in prima persona della diseguaglianza, della mancanza di giustizia. Con il Covid siamo stati lasciati ancora più indietro, in quanto donne, studenti e lavoratori – insegno inglese ai bambini e con la pandemia non sono più potuta entrare nelle loro case. Ma anche le persone che conosco e che per esempio lavorano nel mondo dello spettacolo: è stato chiuso tutto lasciandole senza uno stipendio e senza speranza. Noi donne poi siamo la maggioranza di coloro che lavorano nel settore dei servizi e dell’assistenza, uno degli ambiti più penalizzati.

Lei è un’attivista di Black Lives Matter, quali sono i punti di contatto fra questo movimento e quello che scende in piazza oggi?
All’origine ci sono naturalmente motivi diversi: Blm esiste da tempo ma è diventato conosciuto in tutto il mondo dopo le manifestazioni seguite all’omicidio di George Floyd, contro la brutalità della polizia e l’abuso di potere. Ma in fondo anche domani (oggi, ndr) ci opporremo all’abuso di potere, a un sistema che esclude le donne e in particolare quelle non bianche, che è stato pensato e creato da uomini bianchi per se stessi, al quale per noi non c’è possibilità di accesso – e anzi ci vengono a dire che la colpa è nostra perché non sappiamo adattarci a esso. Ma come è possibile se per esempio, secondo le statistiche, a un dollaro guadagnato da un uomo bianco corrisponde un guadagno gradualmente sempre più inferiore in base al colore della pelle e al genere?

Oggi in piazza ci sarà una convergenza con il movimento a sostegno delle donne afghane.
Non potrei mai parlare a nome di una donna afghana, dovrebbero poterlo fare loro stesse. Ma penso che sia tragico che le si stia privando della propria autonomia, della scelta su come aderire alla propria religione, che le si stia forzando a lasciare studi e lavoro contro la propria volontà. Per quanto siano condizioni diverse, l’imposizione sulla volontà delle donne la possiamo osservare anche nei nostri paesi: io sono brasiliana ma penso anche agli Stati uniti dove di recente con l’Heartbeat Bill dello Stato del Texas, il divieto dell’aborto dopo sei settimane, si stabilisce un controllo sull’autonomia femminile.

Lei fa anche parte della Womens’ March, che adesso si è attivata proprio per la lotta all’«abortion ban».
Infatti stiamo organizzando una manifestazione contro l’Heartbeat Bill, in sostegno del diritto delle donne ad avere autonomia decisionale rispetto al proprio corpo: ci sarà un sit in il prossimo 2 ottobre, a Piazza Barberini a Roma. Il processo per l’approvazione della legge del Texas è stato particolarmente fosco, anche il modo in cui è stata fatta «passare» dalla Corte suprema che dovrebbe interpretare la legge e non piegarla a suo piacimento. Tutta la retorica che circonda questo argomento è anticostituzionale, e tra l’altro chiunque conosca il corpo femminile sa che sei settimane spesso non sono sufficienti neanche per realizzare di avere un ritardo del ciclo. Dicono che è una legge che tutela i bambini: ma se vogliono proteggere i bambini perché allora non pensano piuttosto ad approvare il child support, un sostegno economico alle madri?

* Fonte: Giovanna Branca, il manifesto[1]

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