Clima. COP26, un mezzo accordo su metano e deforestazioni

Clima. COP26, un mezzo accordo su metano e deforestazioni

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Il vertice. Sì alla riduzione delle emissioni del gas ma Russia, Cina e India non aderiscono al patto. Impegno per fermare la deforestazione

 

Due accordi, parziali e dubbiosi, hanno segnato il secondo giorno della conferenza Onu sul clima a Glasgow: riguardano la riduzione delle emissioni di metano, il secondo responsabile del riscaldamento climatico dopo il Co2, e il freno alla deforestazione. Ma restano molte riserve.

SUL METANO, Cina e Russia, che con l’India – anch’essa defilata – sono responsabili di un terzo delle emissioni di metano, non hanno aderito al «patto globale», un’iniziativa Ue-Usa. E’ la conferma delle tensioni mondiali – commerciali, economiche e geopolitiche – che imbrigliano la Cop26. I leader di Cina e Russia, Xi Jinping e Vladimir Putin, hanno voltato le spalle al mondo e all’organizzazione che dovrebbe riunirlo, non sono stati presenti né al G20 di Roma né a Glasgow (l’Onu è nata sulle macerie della seconda guerra mondiale, per voltare pagina e su basi che avrebbero dovuto evitare il naufragio della Società delle Nazioni). L’occidente punta ormai sul un piano B, con altri paesi (Indonesia, India, persino Brasile, con il Sudafrica ieri la Ue, Francia, Germania, Gran Bretagna e Usa hanno firmato una partnership per la transizione energetica giusta, finanziata con 8,5 miliardi) aggirando Cina e Russia. Ieri, Mosca e Pechino non hanno messo la firma sotto l’accordo, che ha riunito più di 100 paesi, responsabili del 50% delle emissioni di metano (che conta per un quarto sul riscaldamento globale). La Cina non fa parte dei «super-emettitori» di metano, la Russia sì (dopo gli Usa).

L’AGENZIA USA di protezione dell’ambiente si è impegnata a tagliare le emissioni di metano anche dai pozzi di petrolio e di gas esistenti (e non solo per quelli futuri, che del resto continueranno a moltiplicarsi, qui e altrove, come mostrano gli utili-record dell’Aramco dell’Arabia Saudita, in più che ottima salute). Il Canada ha promesso una diminuzione del 75% nel 2030 rispetto ai dati del 2012.

LE EMISSIONI di metano sono aumentate del 9% l’anno tra il 2006 e il 2017, sono prodotte soprattutto dall’agricoltura, dall’estrazione dei combustibili fossili e dalle discariche. La promessa di riduzione ha il grande interesse di promettere effetti relativamente rapidi e «visibili», che permetterebbe, se rispettata, di dare un po’ di credibilità all’impegno di restare entro un riscaldamento di 1,5 gradi. «E’ il frutto più a portata di mano, una delle cose più efficaci che possiamo fare», ha detto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. «Incoraggio tutti a unirsi» ha detto Joe Biden, «è una strategia più semplice e efficace per rallentare il riscaldamento climatico nel breve periodo». I paesi firmatari si sono però guardati bene dal precisare come realizzeranno questi tagli alle emissioni di metano. I paesi del G20 hanno investito 3300 miliardi nelle energie fossili negli ultimi anni. La Cina, in silenzio, per far fronte alla crisi energetica in corso, aumenta di un milione di tonnellate al giorno la produzione di carbone per rifornirsi dell’elettricità necessaria. «Il più grande passo avanti», secondo l’interpretazione dell’ospite Boris Johnson è stato ieri l’accordo «sulla protezione delle foreste mondiali in una generazione». L’impegno di ieri, firmato anche da Russia e Cina, però, non fa che riprendere la Dichiarazione di New York del 2014, che faceva le stesse promesse per il 2020. Adesso il 2020 è passato, l’impegno non è stato mantenuto, e così la data è stata spostata al 2030, Greenpeace denuncia «un decennio supplementare di deforestazione».

Più di 100 paesi, che ospitano l’85% delle «cattedrali della natura, i polmoni del pianeta», nelle parole di Johnson, si impegnano a fermare il massacro: ogni minuto sparisce dal mondo l’equivalente di 27 campi di calcio di foreste. Ci sono dei soldi, 19,2 miliardi di dollari per la protezione e il rinnovamento forestale, è stato sollecitato anche l’intervento del capitale privato (5,3 miliardi da grandi compagnie finanziarie), ma le organizzazioni ambientaliste sollevano forti dubbi sulla buona fede dei paesi che hanno aderito. Tra questi il Congo, che ha la seconda foresta al mondo dopo l’Amazzonia, a cui sono stati promessi 1,3 miliardi di dollari, ma che negli ultimi tre anni ha battuto tutti i record di deforestazione e ha appena approvato una moratoria su una foresta grande quanto la Francia. Ha aderito al patto anche il Brasile, che promette tagli del 50% delle emissioni di Co2 nel 2030 e la neutralità carbone nel 2050, ma da quando è al potere Bolsonaro (anche lui si è guardato bene dal venire a Glasgow) ha aumentato dell’88% la deforestazione: dall’anno scorso l’Amazzonia emette Co2 invece di assorbirlo. Bolsonaro firma pensando di sbloccare le reticenze nella Ue a firmare l’accordo commerciale con il Mercosur, per ottenere l’appoggio Usa a far entrare il Brasile nell’Ocse e evitare freni all’export agricolo.

IERI C’È STATA la conferma del ritorno degli Usa nella High Ambition Coalition, che riunisce piccoli paesi vulnerabili e i grandi dell’occidente, con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento entro +1,5 gradi. Sui finanziamenti, con l’impegno del Giappone di aumentare di 10 miliardi il contributo, forse la promessa di 100 miliardi l’anno per i paesi poveri potrà essere mantenuta per il 2022 (era stata fatta 12 anni fa).

* Fonte: il manifesto



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