Pandemia. Arriva la variante «Omicron» e tutti si blindano
La variante «Omicron» individuata in Sudafrica: Ue, Usa e Canada fermano i voli. Senza copertura vaccinale il virus nel continente è circolato liberamente. Si studia per aggiornare i vaccini
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha stabilito che la nuova variante del coronavirus si chiamerà «omicron» e rappresenta una «variant of concern» su cui vigilare. «La designazione – spiegano gli esperti dell’Oms – implica che gli stati dovranno condividere le sequenze virali, segnalare i nuovi focolai all’Oms e studiare sul campo e in laboratorio l’impatto, l’epidemiologia, la severità e l’efficacia delle misure di salute pubblica». Il nuovo ceppo spaventa epidemiologi e semplici cittadini in tutto il mondo, e ha già causato la sospensione dei voli dal Sudafrica e dagli altri stati della regione.
A INDIVIDUARLA PER PRIMI sono stati i sanitari della regione sudafricana del Gauteng, l’area di Pretoria e Johannesburg. I bollettini parlano di circa cento casi accertati più un migliaio in attesa di conferma. Altri sono stati individuati in Botswana, Israele, Belgio e a Hong Kong.
A preoccupare è la velocità con cui si sta allargando il focolaio del Gauteng, dove la omicron è stata isolata il 12 novembre. Fino a pochi giorni fa, il Sudafrica aveva un numero bassissimo di nuovi casi, qualche centinaio su una popolazione simile a quella italiana. In una settimana, il numero di nuovi casi giornalieri è salito fino ai 2800 di ieri, per tre quarti concentrati nel Gauteng. Il sospetto è che le 50 mutazioni presenti nel ceppo omicron, di cui 30 sulla proteina spike con cui il virus aggancia le cellule, gli abbiano conferito una trasmissibilità superiore.
E che lo abbiano messo in condizione di reinfettare persone provviste degli anticorpi da malattia o da vaccino efficaci contro le varianti tradizionali. Tra i primi casi, in Botswana e a Hong Kong, figurano infatti persone pienamente vaccinate. Sarebbe lo scenario peggiore, tra quelli possibili: una nuova variante in grado di vanificare tutti gli sforzi fatti sin qui, di fronte alla quale sia la popolazione vaccinata che quella guarita risulterebbero vulnerabili.
LO SPAVENTO È TALE che il ministro della salute Roberto Speranza già al mattino aveva chiuso gli aeroporti italiani ai voli provenienti da Sudafrica, Malawi, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Mozambico, Namibia, Eswatini, in attesa di saperne di più. «I nostri scienziati sono al lavoro per studiare la variante B.1.1.529.
Nel frattempo massima precauzione», ha detto il ministro. È una mossa disperata, perché la variante omicron potrebbe essersi già diffusa in altre aree del mondo. Germania e Francia lo hanno seguito a ruota. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha chiesto agli altri stati membri di fare altrettanto (mentre ieri sera le restrizioni ai voli sono state decise da Usa e Canada) dopo un vertice con sanitari e con le industrie farmaceutiche che producono i vaccini. «Condividono le nostre preoccupazioni» ha detto von der Leyen. «I contratti dell’Ue con i produttori prevedono che i vaccini siano adattati immediatamente alle nuove varianti man mano che esse emergono. L’Europa ha preso le sue precauzioni».
ANCHE ALL’OMS la variante desta preoccupazione. Ma l’appello a chiudere le frontiere non è condiviso. «Le restrizioni agli spostamenti non sono raccomandate» ha detto il portavoce Oms Christian Lindmeier. «L’Oms invita i paesi a applicare un approccio scientifico e basato sul rischio nei provvedimenti relativi agli spostamenti».
Le massime competenze nella sorveglianza virologica sono concentrate nel Regno Unito, dove sono state identificate gran parte delle varianti pericolose. Sulla omicron gli epidemiologi britannici invitano a evitare valutazioni affrettate, in assenza di informazioni più complete. «Il significato di molte delle mutazioni osservate, e delle loro combinazioni, non è noto» spiega Sharon Peacock, direttrice del consorzio di genomica COG-UK e professoressa di salute pubblica e microbiologia all’università di Cambridge. «Vi sono studi in corso in Sudafrica per valutare la neutralizzazione degli anticorpi e l’interazione con le cellule T.
Questi studi stabiliranno se c’è una riduzione dell’immunità in test di laboratorio, ma ci vorranno diverse settimane. Sarà anche necessario raccogliere dati sul campo per valutare la diminuzione della protezione da vaccinazione e da malattia. Non abbiamo dati su questi importanti interrogativi. Nel frattempo, le vaccinazioni devono procedere».
ANCHE FRANÇOIS BALLOUX, dello University College di Londra, non si sbilancia. «Si può prevedere che la variante aggiri l’immunizzazione fornita dai vaccini e dall’infezione» spiega. «Ma ogni stima della sua trasmissibilità e virulenza appare prematura».
Le vaccinazioni, appunto: l’emergenza di una nuova variante pericolosa in Africa sub-sahariana non sorprenderebbe nessuno, perché si tratta dell’area meno vaccinata del mondo. In Sudafrica, il paese dov’è arrivato il maggior numero di dosi, si è pienamente immunizzato solo il 23% della popolazione, ma negli stati circostanti le percentuali scendono sotto il 15% e quasi si azzerano nella zona equatoriale del continente. Né il programma Covax dell’Oms né le donazioni dei paesi ricchi hanno permesso a forniture adeguate di vaccini di raggiungere questa parte del mondo, dove il virus circola più o meno liberamente accumulando mutazioni casuali e potenzialmente dannose. Per questo l’Oms aveva chiesto ripetutamente, e del tutto inutilmente, di ritardare i richiami vaccinali nei paesi avanzati finché almeno il 10% della popolazione fosse immunizzata in tutti gli stati del mondo.
* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto
Related Articles
Il ministro Orlando dice sì all’estradizione di Henrique Pizzolato
Brasile. La vicenda del sindacalista coinvolto nello scandalo del Mansalao
Salari inchiodati e prezzi volanti
La metà dei contribuenti dichiara meno di 15mila euro. Un dipendente arriva a 19.810, gli imprenditori a 18.170. E intanto energia e spese volano L’Istat conferma che sale lo «spread» tra stipendi e inflazione, mai così alto dal 1995.
Cooperative, occupazione in frenata dopo 10 anni