«Torturato dalla polizia marocchina per aver filmato le proteste»
Nell’ultima colonia d’Africa. Il giornalista saharawi Al-Wali Hammad, direttore dell’agenzia stampa Nushatta, racconta il suo arresto, le violenze e le intimidazioni subite, lanciando un appello internazionale a difesa dei media liberi e dei diritti umani nel Sahara Occidentale. Il caso simbolo di Sultana Khaya. E la festa per la sconfitta calcistica del Marocco con l’Algeria
«Sono stato arrestato dalla polizia davanti alla casa della mia famiglia mentre stavo filmando le manifestazioni di protesta in corso in città. Otto autovetture mi hanno circondato all’improvviso, da queste sono scesi gli agenti che mi hanno ammanettato e coperto gli occhi con una coperta mentre mi portavano via».
COSÌ AL-WALI HAMMAD, direttore dell’agenzia di stampa Nushatta Foundation for Media and Human Rights, racconta il momento del fermo da parte delle forze di sicurezza marocchina avvenuto ad El Aaiún, Sahara Occidentale, lo scorso 11 dicembre. Proprio in quella giornata, in occasione della partita di calcio tra Marocco e Algeria valida per il passaggio al turno di semifinale della Fifa Arab Cup 2021 in corso in Qatar, il movimento saharawi che contesta nei territori occupati l’oppressione da parte del governo di Mohammed VI, ha inscenato alcune contestazioni.
IL GIORNALISTA È STATO ACCUSATO di incitare tali dimostrazioni: «Mi hanno condotto in una caserma dove, dopo avermi sequestrato il telefono, sono stato interrogato e torturato. Per oltre quattro ore sono stato bastonato e manganellato nei loro uffici. Fino allo svenimento. Sono stato rilasciato la mattina successiva, con la minaccia da parte della polizia che se mi sorprenderanno ancora a filmare eventi o manifestazioni di qualsiasi tipo, sarò incarcerato. Tutto questo, non fermerà né il mio lavoro, né tantomeno la mia richiesta di libertà e indipendenza per il Sahara Occidentale».
COME RIFERITO DIRETTAMENTE dalla redazione di Nushatta, l’interrogatorio che Hammad ha subito, è stato incentrato oltre che sulle attività e il modus operandi dell’agenzia stampa, anche sulle identità e generalità dei singoli giornalisti e mediattivisti che la compongono. Nushatta, in una nota diffusa lunedi 13 dicembre, chiede un pronunciamento da parte delle organizzazioni internazionali che si occupano di difesa dei professionisti dei media e degli attivisti dei diritti umani a intervenire con urgenza per dissuadere il governo marocchino da ciò che sta compiendo contro i professionisti dei media saharawi. Quanto accaduto è il segno di un ulteriore inasprimento delle vessazioni contro i residenti nei territori occupati. Dalla ripresa del conflitto tra le parti avvenuta il 13 novembre 2020, vi è stata una costante escalation delle misure repressive attuate dal Marocco.
L’ESEMPIO PIÙ ECLATANTE riguarda l’attivista Sultana Khaya, icona della lotta di liberazione in corso, che lo scorso 5 dicembre ha denunciato l’ennesima aggressione da parte di paramilitari marocchini, che oltre a violentarla hanno contaminato il serbatoio dell’acqua potabile della sua abitazione e sigillato la porta d’accesso al tetto per impedire a Khaya di accedervi per sventolare bandiere e manifestare dissenso.
Intanto Nushatta Foundation sta sviluppando il suo lavoro oltre quello strettamente giornalistico in altri ambiti, mettendo al centro delle narrazioni proprio Khaya e la sua famiglia, da un’altra prospettiva, quella artistica. Da qualche giorno è disponibile online la canzone Your Struggle, dedicata all’attivista e firmata da vari cantanti dell’attuale scena saharawi, i quali hanno prestato il loro talento alla vicenda, sotto il coordinamento della fondazione coordinata e diretta da Al-Wali Hammad.
E MENTRE IL 10 DICEMBRE è stata rilanciata l’ennesima campagna che rammenta come al momento siano rinchiusi in diverse carceri del regno di Rabat 41 prigionieri politici, inclusi quelli arrestati nel 2010 durante la protesta di Gdeim Izik oltre a due giornalisti di Equipo Mediatico, l’altra agenzia di stampa saharawi, il calcio assume nuovamente un valore comunicativo fuori dall’ordinario. Proprio il match tra Algeria e Marocco, vinto dagli algerini ai rigori, ha fornito l’occasione in vari paesi d’Europa oltre che nei campi profughi nei pressi di Tindouf di dar vita a caroselli e festeggiamenti dal forte valore politico.
* Fonte: Gianluca Diana, il manifesto
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