Afghanistan. La strategia occidentale: affamare il paese per indebolire i Talebani

by Giuliano Battiston * | 13 Gennaio 2022 9:01

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Asia. Malnutriti cinque milioni di bambini. Metà della popolazione ha bisogno di aiuti umanitari. Appello disperato delle Nazioni unite: servono subito 4,4 miliardi di dollari. Ma l’Europa si accoda agli Usa e decide di non decidere

 

«Abbiamo bisogno di 4,4 miliardi di dollari per assistere in Afghanistan più di 22 milioni di persone con cibo, cure sanitarie, sostegno per salvargli la vita». Così ha dichiarato ieri a Ginevra Martin Griffiths, sottosegretario generale dell’Onu per gli Affari umanitari.

Si tratta «del più ampio appello mai fatto per l’assistenza umanitaria di un solo Paese ed è tre volte la cifra di cui c’era bisogno, e raccolta, nel 2021». Una cifra enorme, ma utile solo a tamponare, non risolvere, la drammatica crisi afghana. Più di metà della popolazione dipende dall’assistenza umanitaria, «con un incremento del 30 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021», «quattro milioni di bambini sotto i cinque anni rischiano la malnutrizione, di cui un milione in forma acuta».

Il messaggio di Martin Griffiths, per conto dell’Onu, «è urgente: non chiudete le porte alla popolazione». Non chiudete i rubinetti finanziari. Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati, ha chiesto ulteriori 662 milioni di dollari per gestire la crisi migratoria in corso, dentro l’Afghanistan e nei Paesi confinanti.

Una crisi destinata ad aggravarsi nei prossimi mesi, quando saranno ancora più evidenti gli effetti della caduta libera dell’economia la cui contrazione, ha ricordato Griffiths, in pochi mesi è stata «del 40 per cento». Forse la più repentina e radicale della storia contemporanea.

L’Onu batte cassa. Suona la sveglia alla politica, alla comunità internazionale. Che pure, a metà dello scorso ottobre, durante il G-20 straordinario sull’Afghanistan, molto aveva promesso. A condizione che l’aiuto non finisse nelle mani dei Talebani. L’Onu rassicura: i soldi non finiranno all’Emirato. Ma il nodo è politico. E nessuno lo affronta in modo esplicito.

In Europa, come spesso accade, ci si accoda a Washington. Prima nell’avventura militare, fragorosamente fallita. Ora anche nello stallo diplomatico successivo alla conquistare del potere dei Talebani, a metà agosto. Ci si accoda nell’incertezza sul che fare. Nell’evitare la domanda centrale: occorre lasciare che il Paese collassi, che sprofondi nella crisi più nera, che si destabilizzi una volta per tutte, pur di mantenere il principio che con i Talebani non si parla, oppure occorre impedirlo, riconoscendo che con i Talebani si deve parlare, pur senza riconoscerne il governo, che l’aiuto umanitario non è che un palliativo e che occorre prendere posizione, qui e ora, per impedire la catastrofe?

A parte gli esponenti delle Nazioni unite, nessuno che prenda posizioni o che metta i nostri governi di fronte alle loro responsabilità. Eppure è urgente decidere, qui e ora, come ha detto lo stesso Martin Griffiths. Senza quei soldi, «non ci sarà un futuro».

Che Washington sia riluttante a mostrarsi flessibile nei confronti dei Talebani – notava due giorni fa sul New York Times Laurel Miller dell’International Crisis Group – è fisiologico. La sberla è stata tremenda.
Sull’amministrazione Biden pesa il disastro della drammatica evacuazione di agosto, l’esatto contrario del «ritiro responsabile» di cui parlava fino a poche settimane prima.

Pesa il fatto di aver legittimato politicamente un gruppo islamista radicale che, dopo aver condotto lunghi negoziati a Doha con l’inviato Usa, ha poi conquistato il potere con la forza, infischiandosene degli ammonimenti delle cancellerie euro-atlantiche. Pesa la preoccupazione di perdere ulteriore consenso elettorale, di favorire i Repubblicani, convinti che ai Talebani non si debba concedere nulla. E che anzi occorra usare la leva finanziaria come strumento di condizionamento.

Ma se Washington ha fallito nell’ottenere ciò che voleva quando usava la leva militare, perché dovrebbe funzionare ora, con la sola leva finanziaria? E con quali rischi? Quello di mandare in malora un intero Paese, condannare metà della popolazione alla fame, costringere l’altra metà all’emigrazione è forse un rischio che va corso per non legittimare i Talebani? O non bisognerà correre il rischio opposto: parlare con i Talebani per evitare il tracollo di un intero Paese?

* Fonte: Giuliano Battiston, il manifesto[1]

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