In Kazakhstan esplode la protesta popolare contro il caro gas

by Luigi De Biase * | 6 Gennaio 2022 10:16

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Asia. In piazza i lavoratori del petrolio. Il presidente Tokayev accetta le dimissioni del governo. La protesta è iniziata a Zhanaozen, dove nel 2010 ci fu una strage di operai

 

Alle proteste esplose l’altra notte ad Almaty, ad Aktobe, a Zhanaozen e in altre città del Kazakhstan, il governo ha risposto come fanno i piccoli regimi, non certo i paesi che ambiscono al ruolo di modello regionale. Agenti della guardia nazionale in assetto antisommossa nelle strade, stato di emergenza, internet bloccato e segnale tv interrotto.

«Resterò a Nursultan fino all’ultimo momento, è questo che prevede il mio ruolo», ha detto il presidente, Kassym-Jomart Tokayev, dopo avere discusso al telefono con il capo del Cremlino, Vladimir Putin, e con il leader bielorusso, Aleksander Lukaschenko.

Non esattamente un circolo liberale. Tokayev è presidente dal 2019, quando ha ricevuto l’incarico dal Nursultan Nazarbayev in quella che è considerata una operazione di conservazione del potere. La capitale del Paese porta proprio il nome di Nazarbaev.

I DISORDINI SONO cominciati nella città petrolifera di Zhanaozen, sessantamila abitanti lungo le coste del Caspio, fra province consumate da uno sviluppo economico che ha permesso al Kazakhstan di ottenere un posto sulla mappa mondiale del greggio, ma ha lasciato poco o nulla intorno. All’origine ci sono gli aumenti da 60 a 120 tenge, il corrispettivo di dieci e venti centesimi di euro, del combustibile Lpg, particolarmente diffuso fra gli automobilisti. Il passaggio è dovuto alla fine dei sussidi pubblici sui carburanti stabilito dal governo due anni fa.

Con il passare delle ore, tuttavia, le ragioni dei manifestanti si sono moltiplicate, e così seicento chilometri a nord, al giacimento di Tengiz, il secondo del paese, decine di lavoratori avrebbero cominciato i picchetti in segno di solidarietà di fronte agli stabilimenti petroliferi. Il Kazakhstan produce ogni giorno un milione e settecentomila barili di petrolio. Quella è la sola colonna sui cui poggiano l’economia nazionale e le fortune dei suoi leader.

SUL TERRITORIO DEL PAESE, grande grossomodo come quello dell’Unione europea, è possibile individuare tre distinti juz, o clan. A sudest gli uli, che occupano la prima posizione di una ipotetica gerarchia storica. A nordest gli orta, considerati il gruppo mediano. A ovest la giovane schiera dei Kisi.

È proprio nella parte occidentale del paese, quella in cui si trovano le riserve minerarie, che le tensioni con il governo sono più accentuate. Gli scioperi contro le condizioni disumane di lavoro sono stati repressi spesso con la violenza. A Zhanaozen, nel 2010, la polizia ha aperto il fuoco sugli operai del settore petrolifero uccidendone sedici e ferendone un centinaio.

La versione ufficiale, l’autodifesa diffusa con vigore dal governo, ha retto sino a quando alcune organizzazioni umanitarie sono riuscite a rendere pubblici i video della carneficina. Nessuno ha mai risposto per gli eventi del 2010. Non è un caso, quindi, che questa nuova ondata di malcontento sia partita esattamente da lì.

Il problema di Tokayev è che le proteste hanno già superato i confini delle province occidentali. Ad Almaty, la città più popolosa del Kazakhstan, i manifestanti hanno preso in un solo giorno tutto. Il palazzo dell’amministrazione locale, dalle cui finestre a mezzogiorno uscivano colonne di fumo nerastro.

La residenza presidenziale, anch’essa data alle fiamme. La sede del partito Nur Otan, significa “patria radiosa”, che controlla da più di vent’anni la vita politica nazionale. E anche l’aeroporto, occupato da una cinquantina di persone riuscite a mettere in fuga tutto il personale in servizio nello scalo, compresi i militari.

SE QUESTA SIA UNA strategia delle autorità, oppure un segnale di estrema debolezza del governo, ancora non è dato sapere. Ma in quello che appare un tentativo frettoloso di riguadagnare consenso, Tokayev ha accettato le dimissioni di massa del governo e ha sostituito il premier uscente Askar Mamin con uno dei suoi vice, Alihan Smaiylov, 49 anni, originario di Almaty e cresciuto negli organismi finanziari del paese.

Nelle prossime ore Smaiylov avrà il compito di riportare l’ordine. Quanto a Tokayev, i suoi proclami per adesso non hanno ottenuto grande attenzione. «Non soccomberemo di fronte a provocatori», ha detto martedì, dopo i primi scontri: «Gli attacchi contro civili e militari saranno puniti severamente».

Il prezzo più elevato lo stanno pagando gli uomini della guardia nazionale. Venti sono rimasti feriti nell’assalto al palazzo del governo di Almaty. Cinque sono in gravi condizioni. Sui social media si trovano video in cui i manifestanti prendono in ostaggio gli agenti. Molti di loro sono giovanissimi, non sembrano avere neanche vent’anni.

* Fonte: Luigi De Biase, il manifesto[1]

 

 

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