Pandemia. Corbevax: «Un vaccino per decolonizzare il mondo»

Pandemia. Corbevax: «Un vaccino per decolonizzare il mondo»

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Intervista. La scienziata Maria Elena Bottazzi che ha sviluppato il Corbevax, a proteina ricombinante, poco costoso e accessibile a tutti. Da produrre a chilometri zero. Senza brevetto

 

Maria Elena Bottazzi è la scienziata honduregna (ma chiare origini italiane) che ha sviluppato il vaccino Corbevax insieme a Peter Hotez, con cui collabora al Baylor College e al Texas Children’s Hospital di Houston. I due scienziati non hanno chiesto alcun brevetto sul vaccino, in modo che possa essere prodotto ovunque e accessibile a tutti. I primi a produrlo su scala industriale sarà l’azienda indiana Biological E., ma altri Paesi potrebbero presto seguire la stessa strada. La raggiungiamo via Skype quando a Houston sono le otto del mattino. Disturbiamo? «La mia giornata è iniziata da un pezzo», ride Bottazzi. «Non mi ricordo quante cose ho già fatto».

Professoressa, ci spiega come funziona il vaccino Corbevax?

Per vaccinarsi, il nostro sistema immunitario deve entrare in contatto con l’antigene (cioè la proteina “Spike”, ndr). Invece di portare nelle cellule il codice genetico che lo codifica come nel caso dei vaccini a mRna o in quelli adenovirali, per Corbevax queste proteine vengono prodotte in laboratorio in modo convenzionale. Uno dei metodi più conosciuti è basato sul lievito, come avviene nella birra. Invece dell’alcool, il lievito sintetizza la proteina che poi entra nella formulazione del vaccino.

Perché è considerato un vaccino più «sicuro»?

Sono tecnologie già utilizzate e più conosciute. Si usano nei bambini da quarant’anni. Anche le agenzie regolatorie li conoscono bene. I componenti sono già usati in altri vaccini e se ne conoscono gli effetti collaterali.

Quali vantaggi hanno?

I vaccini prodotti in questo modo si conservano più a lungo e alla temperatura di un normale frigorifero. Le proteine sono più stabili dell’Rna e del Dna. Inoltre, ci sono tante aziende in grado di produrli, mentre la produzione di vaccini a mRna richiede di creare nuovi impianti. Per vaccini come Corbevax l’infrastruttura necessaria è già disponibile.

Nei test clinici il vaccino si è dimostrato efficace nei confronti delle varianti Delta, Beta e Gamma. È efficace anche contro Omicron?

Stiamo aspettando i dati proprio in questi giorni. Credo che l’efficacia sarà abbastanza simile ad altre varianti. Per valutarlo in India, si è esaminata la produzione di anticorpi neutralizzanti che sappiamo essere un indice del livello di protezione dei vaccini, anche se approssimativo. Nei test, Corbevax si è dimostrato statisticamente superiore a Covishield, il vaccino AstraZeneca prodotto in India.

I vaccini Pfizer e Moderna costano più di venti dollari a dose. Il vaccino Corbevax ne può costare due. Perché così poco?

Varie ragioni: le economie di scala, i pochi investimenti necessari, l’assenza di brevetti. Noi non chiediamo soldi ai produttori. Ognuno dei partner del consorzio di ricerca è tenuto a trovare fondi propri per sostenere le attività scientifiche. Inoltre, i componenti del vaccino si possono già comprare a costi bassi e produrre grandi quantitativi di vaccino è facile. Biological E., l’azienda indiana con cui abbiamo già un accordo, prevede di produrre cento milioni di dosi al mese. L’azienda con cui collaboriamo in Indonesia stima numeri simili.

Ha parlato di «decolonizzazione», a proposito di Corbevax. Cosa intende?

Il vaccino Corbevax può essere prodotto laddove serve. Noi ci limitiamo a fornire un cosiddetto «starter kit», con tutti i dati e i report necessari ad avviare la produzione. Ma poi tutto può avvenire a livello locale. Stiamo collaborando con India e Indonesia, ma anche Bangladesh, Botswana e altri Paesi.

Il vaccino Corbevax potrebbe essere prodotto anche nei Paesi ricchi, come Usa e Unione europea?

C’è una domanda anche da questi Stati, per superare la diffidenza nei confronti dei vaccini a mRna. Ma ci sono pochi incentivi economici e molte barriere regolatorie. Servono test clinici che oggi sono difficili da realizzare, perché laddove altri vaccini sono disponibili è difficile trovare volontari. Quindi l’attenzione è soprattutto rivolta ai Paesi poveri. C’è un accordo per distribuire Corbevax anche attraverso il programma Covax, ma prima occorre l’approvazione da parte dell’Oms.

Perché i vaccini a mRna sono arrivati prima degli altri?

Per due ragioni. Creare una sequenza di Dna o Rna è più facile, anche se poi creare la capacità produttiva per produrre miliardi di dosi non lo è. Mettere a punto una proteina ricombinante invece richiede due o tre mesi. L’altra ragione è che i produttori di vaccini a mRna hanno ricevuto tantissimi soldi. Sin dall’inizio le agenzie pubbliche non hanno mostrato interesse per i vaccini a subunità proteica: si è puntato tutto sulla velocità di sviluppo e sull’innovazione, senza porsi il problema della capacità produttiva e della distribuzione dei vaccini. Ora se ne parla come di «vaccini di seconda generazione» ma valutarne l’efficacia è diventato più difficile e costoso e non ci sono più investimenti. Eppure potremmo averne bisogno: non sappiamo se ulteriori richiami con i vaccini a mRna saranno efficaci. Però sappiamo che le vaccinazioni a vettore adenovirale non possono essere ripetute. E che un booster basato su un vaccino proteico dopo un primo ciclo basato su un vaccino adenovirale fornisce un’ottima risposta immunitaria. Nel creare un ambiente di sviluppo di nuove tecnologie vaccinali, investire così tante risorse in poche tecnologie vaccinali è stato un errore.

* Fonte/autore: Andrea Capocci, il manifesto

Foto di torstensimon da Pixabay



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