Crisi ucraina. Colpi di artiglieria nella repubblica separatista di Lugansk

Crisi ucraina. Colpi di artiglieria nella repubblica separatista di Lugansk

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La linea del fuoco. Accuse reciproche tra separatisti e ucraini. Mosca ha espulso il numero due dell’ambasciata americana. Draghi andrà in Russia

 

Una raffica di artiglieria su Stanitsa Luganskaya, a cinque chilometri di distanza dal confine con la Russia, ha rischiato ieri di mandare all’aria l’equilibrio già precario che regola la tregua nella parte orientale dell’Ucraina. A quella tregua, com’è noto, sono legati i rischi di un conflitto che avrebbe conseguenze catastrofiche su tutta l’Europa.

STANITSA SI TROVA sulla linea del fronte, sotto il controllo del governo di Kiev. Un check point al margine della città conduce alla repubblica ribelle di Lugansk. Proprio delle milizie separatiste, secondo i resoconti dell’esercito regolare, sarebbe la responsabilità di questo attacco, terminato fortunatamente senza morti e senza feriti. I fatti di Stanitsa Luganskaya accadono in una fase particolarmente delicata della crisi che da mesi coinvolge Ucraina e Russia e riguarda da vicino gli Usa e i paesi dell’Ue. Non a caso, poche ore dopo l’attacco, il presidente americano, Joe Biden, ha ripetuto le sue previsioni su una guerra imminente. «Ogni indizio suggerisce che i russi sono pronti ad attaccare», ha detto ai giornalisti prima di lasciare la Casa Bianca per l’Ohio: «La mia sensazione è che accadrà entro i prossimi giorni».

Occorre dire che tutte le stime degli apparati di sicurezza sono sin qui fallite, compresa l’ultima, secondo cui l’invasione sarebbe dovuta cominciare nella notte fra il 16 e il 17 febbraio. Ma anche il segretario di stato, Antony Blinken, impegnato in prima persona nelle trattative con i diplomatici russi, ha ribadito che l’attacco avverrà «nei prossimi giorni», e ha scelto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per farlo.

BLINKEN È TORNATO sulla possibilità di un «false flag», e quindi di un pretesto che i russi starebbero costruendo per giustificare un intervento militare. «Non sappiamo esattamente che forma assumerà l’iniziativa», ha detto al Palazzo dell’Onu: «Potrebbe essere un’azione terroristica organizzata dentro la Russia, la falsa scoperta di una fossa comune, la notizia di una strage mai avvenuta contro civili, o persino un attacco con armi chimiche».

Com’è accaduto in precedenza, neanche questa volta Blinken ha offerto elementi a sostegno delle sue tesi. La risposta della Russia è stata netta. All’Onu il viceministro degli Esteri Sergei Vershinin ha definito «infondate» le accuse del segretario di stato, e una replica ancora più dura è arrivata da Mosca. «Con le sue parole Biden non fa che alzare le tensioni», ha detto il portavoce del Cremino, Dmitri Peskov, che ha ricordato, poi, il lungo elenco di fallimenti americani nelle valutazioni sull’Ucraina.

LA RUSSIA HA ANCHE ESPULSO, con una decisione inattesa, il numero due dell’ambasciata americana, Bart Gorman. Negli ultimi anni le sedi diplomatiche e il loro personale sono stati al centro di scontri frequenti, ma da alcuni mesi il caso sembrava essere risolto. Per i russi l’espulsione sarebbe la risposta a un provvedimento analogo degli Usa. Gorman ha nel suo curriculum esperienze in Irak e in Giordania. A Mosca, secondo quel che ha riportato il quotidiano Kommersant, si occupava di «indagini e analisi sulle minacce per la sicurezza», ed era considerato uno degli «elementi chiave» della missione.

ANCHE IN UCRAINA i nuovi allarmi di Biden e Blinken hanno sollevato proteste, il che accade ormai da settimane. «Noi dichiariamo subito che non ci servono militari con bandiere straniere sul nostro territorio», ha detto il presidente, Volodymyr Zelensky, in una intervista all’edizione ucraina del sito internet Rbk: «Non lo chiediamo, perché avrebbe effetti destabilizzanti su tutto il pianeta».

Il ragionamento si basa su un paio di fattori. Da una parte, ha detto sempre Zelensky, «non vorremmo fornire alla Russia un’altra ragione per dire che hanno bisogno di difendersi da basi straniere». Dall’altra, però, il presidente ha sollevato una critica forte alle scelte che l’Ucraina ha assunto dopo il 2014 in politica estera. «Inserire nella Costituzione il progetto di adesione alla Nato è stato un errore. Io credo che la questione debba essere chiarita con un referendum, perché a decidere deve essere il popolo».

NONOSTANTE GLI INGENTI AIUTI militari ricevuti da Usa e Nato dall’inizio dell’anno, Zelensky mostra giorno dopo giorno di allontanarsi dalla linea dell’Amministrazione Biden. Ieri ha addirittura ricordato che la priorità in questo momento è che gli americani «raggiungano una intesa sulla sicurezza con la Russia». Dopodiché, ha rilanciato la proposta di un faccia a faccia con il capo del Cremlino, Vladimir Putin. Per ottenerlo ha chiesto al premier italiano, Mario Draghi, di mediare. Draghi è atteso a Mosca nei prossimi giorni. Ieri è stato anticipato dalla visita del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Così l’Italia, esclusa dai colloqui sugli accordi di Minsk portati avanti da Francia e Germania, ha l’occasione di esercitare un ruolo in questo complesso negoziato. Gli accordi di Minsk restano, tuttavia, il punto centrale della vicenda. Zelensky ha detto che non tratterà direttamente con i ribelli di Donetsk e di Lugansk: «Sarebbe una perdita di tempo».

Per il suo governo i russi non hanno ancora ritirato le truppe dal confine, ma stanno semplicemente avvicendando gli uomini. Il caso di Stanitsa Luganskaya e le dichiarazioni successive di Biden mostrano che un incidente locale può trasformarsi in poche ore in una crisi ben più ampia. Il rischio è alto. Soltanto il 16 febbraio l’Osce ha registrato seicento violazioni della tregua.

* Fonte/autore: Luigi De Biase, il manifesto



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