Disastri ambientali. Gli «effetti collaterali» delle bombe in Ucraina

Disastri ambientali. Gli «effetti collaterali» delle bombe in Ucraina

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Guerre. Centrali atomiche e miniere minacciate, habitat naturali distrutti, ed emissioni di CO2. 4200 siti a rischio

 

La guerra in Ucraina sta provocando una crisi umanitaria a cui si accompagna una crisi ambientale, entrambe destinate a perdurare nel tempo. I bombardamenti, le esplosioni, gli incendi, i crolli di edifici e infrastrutture colpiscono la popolazione, ma hanno anche un impatto sugli ecosistemi.

LA DEVASTAZIONE degli habitat che si accompagna alle operazioni militari modifica in modo permanente la distribuzione sul territorio sia della popolazione umana che della flora e della fauna. In una guerra è difficile quantificare i danni agli ecosistemi, anche perché la distruzione dell’ambiente viene vista troppo spesso come un «effetto secondario». Il conflitto in Ucraina ha fatto scattare un allarme ambientale che va di pari passo con la questione umanitaria. Non si era mai combattuta una guerra in un territorio con una concentrazione così elevata di siti nucleari, deposti chimici, impianti industriali, strutture minerarie.

SONO 15 I REATTORI NUCLEARI situati in Ucraina e rappresentano l’elemento di maggiore preoccupazione in un paese ancora segnato dal disastro di Chernobyl del 1986. La centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, già coinvolta nei combattimenti, è nelle vicinanze del fiume Dnepr che sfocia nel Mar Nero e un incidente provocherebbe una catastrofe.

SECONDO I DATI FORNITI dal ministero dell’ecologia e delle risorse ucraino, nel paese sono censiti più di 4.200 siti potenzialmente pericolosi, perché a rischio di esplosione, perdita di radioattività, inondazioni per il cedimento di dighe, rischi biologici. Nella sola regione del Donbass, dove si combatte dal 2014, sono presenti più di 900 siti industriali tra miniere di carbone, centrali elettriche, industrie metallurgiche e chimiche, stabilimenti in cui si lavora materiale radioattivo, con 170 impianti chimici e un centinaio di strutture che fanno uso di materiale radioattivo. Inoltre, è presente una rete di 1.200 chilometri di condutture per il trasporto di petrolio, gas, ammoniaca. In questa situazione i costi ambientali della guerra rischiano di essere elevati.

LA REGIONE DEL DONBASS, che ha una lunga storia mineraria e con un ampio bacino carbonifero, a causa del conflitto incontra gravi problemi per la gestione delle gallerie minerarie, venendo meno il regolare svuotamento dell’acqua. Una miniera che si allaga favorisce lo scioglimento di minerali e metalli pesanti come piombo, mercurio e arsenico, con la conseguenza di una grave contaminazione chimica dei bacini idrici (falde acquifere e fiumi), che limita l’approvvigionamento idrico della popolazione.

SECONDO L’ONU, LA GUERRA che in questi anni si è combattuta per il controllo del Donbass, a causa delle operazioni militari ha portato alla distruzione di 530 mila ettari di ecosistemi, tra cui 150 mila ettari di foreste, col coinvolgimento di 18 riserve naturali. Nel 2020 nel territorio di Luhansk un vasto incendio causato dalle esplosioni di ordigni ha incenerito 20 mila ettari di foresta con un alto patrimonio di biodiversità. Questo conflitto rappresenta un ulteriore colpo per le foreste ucraine, già distrutte negli ultimi 20 anni per fare posto alle coltivazioni intensive. L’Ucraina presenta una notevole biodiversità, con 70 mila specie animali e vegetali presenti nei diversi habitat, di cui 1400 protette. La guerra è anche un attacco alla natura. L’estensione del conflitto a fine febbraio, con l’invasione russa, sta producendo ulteriori devastazioni tra la popolazione e sta aumentando i costi ambientali.

MISSILI, BOMBE, CARRI armati vengono impiegati in misura crescente. Quando viene colpito un edificio o una fabbrica si liberano sostanze tossiche che inquinano aria, suolo, acque. Sono i siti industriali a sprigionare la maggiore quantità di inquinanti tossici. Dopo ogni bombardamento le macerie, i detriti e le polveri causano una contaminazione tossica della popolazione che aumenta il bilancio delle vittime. In caso di crollo o incendio, l’ amianto presente in molti edifici, i metalli pesanti dei siti industriali, le materie plastiche, i cavi di gomma, le condutture contaminano l’ambiente con miscele tossiche destinate a produrre i loro effetti sulla salute anche a distanza di tempo. Inoltre, i combattimenti stanno impedendo lo smaltimento dei rifiuti e il trattamento delle acque civili e industriali. Un altro elemento da considerare è l’enorme impiego di energia che richiedono le operazioni militari, con il rilascio di massicce dosi di inquinanti. I mezzi impiegati in una guerra sono tra i più energivori. Un aereo militare quando è in volo consuma un litro di carburante ogni 2 chilometri e in una missione produce 250 kg di CO2. Un elicottero da combattimento consuma 500 litri di carburante per un’ora di volo. Nemmeno i carri armati, protagonisti di ogni occupazione di territorio e che la Russia sta impiegando massicciamente, sono da considerare «veicoli ecologici».

I VECCHI T-72 CONSUMANO 4-5 litri per chilometro su un terreno piatto, che può arrivare a 7-8 litri su un terreno irregolare. I carri armati più pesanti producono da 800 a 1000 kg di CO2 ogni 100 km. Si calcola che un mese di guerra come quella che si sta combattendo in Ucraina, con l’attuale intensità e con la varietà dei mezzi impiegati, produca una quantità di gas serra paragonabile a quella prodotta in un anno da una città di 300 mila abitanti. Dopo il cessate il fuoco rimarrà sul terreno materiale bellico di vario tipo, che continuerà a rilasciare sostanze tossiche nel suolo. Questa guerra può tradursi anche in un rallentamento di quella faticosa transizione ecologica che è stata intrapresa, esasperando la crisi climatica in atto. Le maggiori difficoltà nell’approvvigionamento di fonti di energia stanno rilanciando le lobby delle centrali nucleari, centrali a carbone, gasdotti, rigassificatori, con effetti negativi su tutta la politica climatica per il contenimento dei gas serra. Infine, c’è un altro grave «effetto collaterale» di questa guerra: a causa delle difficoltà intervenute sul mercato dei cereali vengono messi in discussione tutti i progetti per una agricoltura più sostenibile.

* Fonte/autore: Francesco Bilotta, il manifesto

 

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