Carestie. La crisi alimentare in Africa arriva da lontano

Carestie. La crisi alimentare in Africa arriva da lontano

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La siccità, il cambiamento climatico, l’insicurezza, la pandemia e, oggi, il conflitto russo-ucraino, che ha chiuso l’ultimo canale cerealicolo, sta portando il continente sull’orlo del baratro. Secondo Oxfam le persone che soffrono la fame aumenteranno a 38 milioni entro la fine di giugno

La scorsa settimana il sindacato dei fornai del Burkina Faso ha indetto una serrata in segno di protesta contro il blocco imposto dal governo sugli aumenti del prezzo del pane. In Burkina Faso una baguette da 200 grammi costa 150 franchi Cfa (circa 0,23 euro), un prezzo calmierato e uguale per tutti gli esercenti. Con il recente aumento del costo del grano d’importazione i prezzi all’ingrosso sono lievitati e gli artigiani non riescono più a fare fronte ai costi. Il sindacato dei fornai aveva deciso unilateralmente di aumentare il prezzo del pane, da 150 a 200 franchi (circa 0,30 euro) per ogni baguette, facendo montare una polemica enorme sui giornali e tra le associazioni di consumatori.

IL GOVERNO di Ouagadougou, due giorni dopo, ha deciso di bloccare gli aumenti con un decreto legge, imposizione che ha portato i fornai a dichiarare uno sciopero per giovedì 26 maggio: «Siamo tra l’incudine e il martello: a monte il prezzo delle materie prime continua a salire e a valle abbiamo un decreto che fissa il prezzo del pane a 150 franchi. O aumentiamo i prezzi o chiudiamo i negozi» ha dichiarato a LeFaso Nina Sori, segretaria generale della federazione dei fornai. Giovedì mattina, la gendarmeria ha riaperto con la forza le panetterie e costretto i fornai non solo a tornare al lavoro ma a continuare a vendere il pane al prezzo di prima.

Da settimane i fornai e il ministero del Commercio burkinabé discutono dell’impennata dei prezzi delle materie prime e dei modi per mitigarla ma, almeno fino ad ora, la soluzione sembra non esistere. Localmente, il prezzo del grano per tonnellata è salito in meno di due mesi da 350.000 franchi Cfa (531 euro circa) a 505.000 franchi (760 euro) ed è interessante comparare questi prezzi con quelli attuali del mercato europeo, dove il grano è attualmente ai suoi massimi storici: 438 euro la tonnellata. Il doppio di un anno fa ma, comunque, considerevolmente più basso che nei paesi più poveri.

LA CRISI DEL PANE in Burkina Faso è solo una delle tante, su uno dei tanti prodotti di importazione. L’Africa, un continente tanto ricco di materie prime quanto privo di capacità di trasformazione, potrebbe presto essere travolta dagli effetti collaterali della crisi in Europa occidentale. In Africa il blocco delle esportazioni di grano ha provocato un aumento medio dei prezzi del 60%: la Banca africana di sviluppo (AfDB) ha approvato un piano da 1,5 miliardi per contrastare la crisi alimentare in corso e quella in arrivo, quantificando in 30 milioni di tonnellate la carenza di cibo attuale, tra mais, grano e soia.

IN TOGO IL PREZZO della baguette prima della guerra in Ucraina era di 100 franchi (0,15 euro), salito a 125, poi a 150 e oggi è sui 200 franchi (0,30 euro), sempre che ve ne sia disponibilità, cosa non scontata. Dallo scoppio del conflitto russo-ucraino la farina di frumento immessa nel mercato togolese è meno di un terzo rispetto a un anno fa e sull’approvvigionamento la decisione di esentare l’Iva per diversi prodotti importati (come grano o latte) semplicemente non funziona.

I prezzi alimentari globali erano già in aumento per via dell’interruzione delle catene di approvvigionamento dovute alla pandemia. La guerra ha rimescolato ulteriormente le carte: con il valore del mercato azionario delle materie prime agricole globali in forte aumento, questa improvvisa carenza di grano in un’economia già gonfiata incide negativamente sulla sicurezza alimentare in molti paesi in via di sviluppo come Egitto, Sudan e Kenya.

Secondo un documento della Fao tra giugno e agosto più di 19 milioni di cittadini nigeriani si troveranno a fronteggiare una crisi alimentare. 14,4 milioni stanno già soffrendo la fame, l’anno scorso erano 8-9 milioni in meno. Il banditismo sempre più diffuso, il terrorismo islamista che rosicchia porzioni di territorio allo stato federale, la crisi dei carburanti e l’aumento del prezzo delle importazioni di cibo sono tutte concause all’imminente crisi in quella che è uno dei Paesi più popolosi e complessi del continente, che a febbraio andrà a elezioni.

SECONDO OXFAM l’Africa occidentale è colpita dalla peggiore crisi alimentare degli ultimi dieci anni: già all’inizio di aprile le persone che soffrivano la fame erano quantificate in 27 milioni, un numero che è destinato inesorabilmente ad aumentare fino a 38 milioni di persone entro la fine di giugno. Non è una crisi di oggi: tra il 2015 e il 2022, con il deteriorarsi della sicurezza in Burkina Faso, Niger, Ciad, Mali e Nigeria il numero di persone bisognose di assistenza alimentare è quasi quadruplicato, da 7 a 27 milioni.

Negli ultimi cinque anni i prezzi dei generi alimentari sono cresciuti mediamente del 20-30% e la produzione agricola nel Sahel si è ridotta fino a quasi sparire (solo nell’ultimo anno di circa il 33%) complici la siccità, il cambiamento climatico, l’insicurezza, la pandemia e, oggi, il conflitto russo-ucraino, che ha chiuso l’ultimo canale cerealicolo da cui si approvvigionavano governi e popolazioni di questi Paesi, oggi sull’orlo del baratro.

L’embargo del grano deciso dall’India il 17 maggio, sulla falsariga dell’embargo dei vaccini durante la pandemia, non potrà che peggiorare le cose.

DI SOLUZIONI africane a questa crisi ce ne sono già ma sono troppo parziali e non sufficienti per tutti: in molti paesi i consumatori si convertono a miglio, polenta, manioca e sorgo per sopperire alla mancanza o al prezzo stellare della farina di grano e in occasione del Fesma del 10 maggio scorso, il Festival della gastronomia africana tenutosi nella capitale togolese, molti chef hanno elargito consigli su come ridurre il contenuto di farina di frumento nelle ricette del 20-25%, sostituendolo con altre farine come la manioca o il sorgo e ottenendo prodotti di qualità nutrizionale invariata. Altri sforzi sono in atto sul come sostituire le farine più care o introvabili con altre più tradizionali di cui si è perso l’uso, come ad esempio la farina di fonio.

L’EGITTO, UN PAESE da 102 milioni di abitanti che è anche il più grande importatore di grano del mondo, sta preparando diversi progetti per frenare le importazioni e produrre localmente materie prime e cibo ma l’orizzonte temporale è al 2030 mentre la fame si fa già sentire. Nel 2021 il Paese ha importato 8 miliardi di dollari di grano, mais e soia, principalmente dall’Ucraina. L’Algeria, diversamente, importa il suo grano dalla Russia e non sembra subire gravi ripercussioni sulle importazioni. Restando in Nordafrica, il Marocco invece ha gravi problemi climatici legati alla desertificazione, alla siccità e all’innalzamento del livello dell’oceano Atlantico e non ha la possibilità di sopperire alle carenze delle importazioni con la produzione interna. O, almeno, non da subito.

* Fonte/autore: Andrea Spinelli Barrile, il manifesto



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