Gli ucraini avanzano tra rovine e corpi di soldati russi abbandonati

Gli ucraini avanzano tra rovine e corpi di soldati russi abbandonati

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REPORTAGE DA KHARKIV. Una tendenza generalizzata: Mosca cede territori che ha conquistato a fatica, lungo il confine orientale. I villaggi sono luoghi fantasma: solo i resti del passaggio delle truppe di invasione

KHARKIV. In un campo di Malaya Rohan, a sud-est di Kharkiv, si trova un elicottero russo semi-carbonizzato. Valentin, un abitante del villaggio, porta il figlio piccolo a visitare il relitto e il bambino esplora quello strano mezzo prima con circospezione e poi inizia a correre da una parte all’altra e a fare domande.

L’unica parte ancora intatta è la coda, sulla quale spicca la «Z» bianca delle forze armate russe. Valentin spiega che quel mezzo si trova lì da almeno tre settimane «ma in quel momento il villaggio era vuoto, se n’erano andati tutti».

TRA LE STRADE STERRATE e i casolari non c’è quasi nessuno, l’unica famiglia incontrata guarda con diffidenza, al saluto «stampa» fanno un cenno con il capo e si affrettano a rientrare in casa chiudendosi alle spalle il cancello di ferro. La loro villetta è quasi del tutto integra, tranne per le finestre che non hanno più i vetri. Ai vicini è andata peggio: ad alcuni mancano muri, altri hanno buchi nel tetto e molte case sono carbonizzate.

Capita spesso che le vecchie abitazioni prendano fuoco dopo i bombardamenti, in quel caso rimangono solo pezzi di lana di roccia o di altri isolanti attaccati alle travi penzolanti e nelle stanze i pochi oggetti sopravvissuti sono indistinguibili nel nero polveroso che copre ogni cosa.

Tra una casa e l’altra si trovano carri armati russi distrutti con la torretta separata dal corpo del mezzo e i cingoli aperti. In alcuni si può guardare dentro e si vede solo un groviglio di metallo fuso e rottami. Nei pressi si trovano piccole macchie grigio chiaro, quasi delle pozzanghere di metallo fuso; si tratta delle leghe di metallo più leggero che a causa della combustione si liquefano e colando si mescolano al suolo. «Immagina il carrista – ci ha detto qualche giorno fa un collega – in trappola come un topo in un forno, che fine orribile».

AI PIEDI di una collina una grande stalla faceva da dormitorio per la truppa. All’interno sacchi a pelo, capi di uniformi militari e decine di scatole di razioni dell’esercito russo. I militari si erano persino costruiti un piccolo tiro a segno con una cassetta per le munizioni vuota e dei vecchi giornali. Più che i segni della fuga si notano quelli del passaggio di chi ha rovistato aprendo tutte le scatole e le casse e lasciando al suolo solo gli oggetti inutilizzabili.

Vicino a un giaciglio c’è un giornale russo con la faccia di Putin in prima pagina e una citazione tra virgolette a proposito della parata del 9 maggio. Se è vero, come molti credevano in Occidente, che per quella data il presidente russo avrebbe voluto presentare al suo popolo qualche trofeo, se non addirittura la vittoria, oggi la situazione sembra molto distante da quell’ipotesi.

Nella regione di Kharkiv gli ucraini sono riusciti addirittura a passare al contrattacco. Il capoluogo, che con un milione e mezzo di abitanti era la seconda città più popolosa d’Ucraina, si trova a solo cinquanta chilometri dal confine russo e non è mai stato occupato.

TUTTO INTORNO  però la città era quasi cinta d’assedio. «Quasi»: come ricorda Oleg, cameriere ora disoccupato che lavorava in centro, «perché avrebbero preferito che i civili evacuassero tutti in modo da limitare i danni durante i bombardamenti». Tuttavia, passando per Saltivka, a nord-est del centro, risulta difficile crederci. Qui ai palazzi mancano interi piani, moltissime facciate sono state annerite dalle fiamme, i negozi e i chioschi lungo i marciapiedi sono solo tetti sfondati, vetri rotti e resti di macchinari o merce varia.

Sulla carreggiata ci sono ancora mezzi carbonizzati e a metà del vialone che portava fuori città, verso Tsyrkuny, un pezzo di cartone con una scritta nera indica «mine». Poco oltre la strada è chiusa, una fila di cavalli di frisia si alterna a una di filo spinato e ogni tanto ci sono anche dei dissuasori di cemento. È l’immagine di una città che prova a difendersi dopo essere stata colpita duramente.

LO STESSO VIALONE, appena fuori l’anello urbano, si trasforma in una strada provinciale e attraversa Tsyrkuny, Rusky Tyskhky e altri quattro villaggi prima di arrivare al confine russo. Piccoli centri importanti perché sono stati riconquistati dall’esercito ucraino proprio negli ultimi tre giorni. A Tsyrkuny si passa, a Rusky Tyskhky ancora no. In altre zone, come a Derhaci, il territorio è ancora conteso, ma la tendenza rimane la stessa. La controffensiva avanza, non così trionfalmente come alcuni media l’hanno descritta, ma avanza.

È già un fatto straordinario, se consideriamo la vicinanza del territorio russo e la possibilità per le truppe degli invasori di essere rifornite e di ricevere rinforzi. Viene da chiedersi se davvero il Cremlino sia così disinteressato a questa zona da lasciare che gli ucraini riconquistino abbastanza velocemente ciò che gli è costato tanta fatica occupare. Anche perché tale tendenza è generalizzata, pure nei villaggi a sud-est e a nord di Kharkiv.

A Vilkhivka, ad esempio, tra Tsyrkuny e Malaya Rohan, tra le villette dei benestanti che potevano permettersi un molo privato e architetture stravaganti, i cadaveri dei soldati russi sono ancora all’aperto. Nel centro del villaggio c’è un corpo riverso ai piedi di un camion carbonizzato, lungo la strada altri due corpi gonfi in avanzato stato di decomposizione sul ciglio erboso e, nei pressi di un sentiero sterrato, una fossa comune con undici corpi. Che siano russi si capisce dal vestiario, alcuni hanno addirittura le insegne dell’Unione sovietica sulla fibbia della cintura.

Sembra che alcuni di questi corpi abbiano ricevuto colpi in testa ma nello stato in cui sono è impossibile, almeno per un giornalista, ricostruire una storia veritiera. Ciò che è evidente è che gli ucraini stanno riconquistando terreno e che i soldati russi sono ancora una volta abbandonati a se stessi dai propri generali, sia da vivi sia da morti.

* Fonte/autore: Sabato Angieri, il manifesto



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