Sri Lanka, il primo ministro si dimette tra proteste e scontri di piazza

by Emanuele Giordana * | 10 Maggio 2022 19:08

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La rabbia popolare, che ormai da oltre un mese accusa di incompetenza il clan del presidente Gotabaya Rajapaksa e di suo fratello Mahinda, aveva assediato il palazzo presidenziale

 

Tutto era cominciato venerdì scorso quando il governo di Mahinda Rajapaksa aveva imposto lo stato di emergenza concedendo ai militari poteri di arresto e detenzione dopo che i sindacati avevano praticamente bloccato il Paese sperando di fare pressione sui Rajapaksa affinché si dimettessero. La rabbia popolare, che ormai da oltre un mese accusa di incompetenza il clan del presidente Gotabaya Rajapaksa e di suo fratello Mahinda, aveva intanto assediato il palazzo presidenziale nella capitale Colombo con un sit in permanente (Go Gota Gama) ormai diventato un accampamento di tende. Ieri però i sostenitori di Mahinda, dopo aver sfilato sotto gli uffici del premier per dimostragli solidarietà, han pensato bene di andare a regolare i conti con la protesta a suon di bastonate.

La polizia schierata in tenuta anti sommossa ha fatto poco per impedire il contatto e la marcia punitiva si è trasformata in un corpo a corpo che ha scatenato un vero e proprio inferno. Oltre alle spranghe sono apparse le pistole. E mentre veniva ordinato il coprifuoco la giornata di violenze ha prodotto l’effetto politico. Mahinda si è dimesso.

Ma le sue dimissioni – nell’aria da giorni ma mai consegnate nelle mani del fratello – non sono bastate: un resoconto ora per ora della giornata della rabbia faceva ieri la liste delle case incendiate dai contrari al clan Rajapaksa, che se la son presa con i suoi parlamentari o altri grandi elettori come Saman Lal Fernando, sindaco nel sobborgo di Moratuwa a Colombo, di cui è stata data alle fiamme la casa poche ore dopo che il primo cittadino lealista aveva formato otto autobus carichi di lavoratori municipali per esprimere solidarietà ai suoi protettori.

Mentre scriviamo la battaglia non è ancora finita anche se il coprifuoco, imposto dalle sette di sera di ieri alle sette di stamane, ha forse rallentato l’andamento della caccia al clan e mentre il bollettino di giornata stilato dalla polizia alle 9,30 di ieri sera aveva a bilancio già 5 morti tra cui un parlamentare. Ben oltre 100 i feriti, in un amaro conteggio da potersi non ancora chiamare definitivo.

Il 12 aprile scorso lo Sri Lanka aveva annunciato uno stop del rimborso del debito estero, sia dei prestiti bilaterali sia di quelli ottenuti dalle istituzioni internazionali e, nell’annunciare il default, aveva dovuto accettare che la ristrutturazione del debito venisse gestita lacrime e sangue dal Fondo monetario, il cui aiuto i Rajapaksa avevano sempre sdegnosamente rifiutato.

Vessata dal Covid, dal crollo del turismo, dall’aumento generale dei prezzi di cibo e gasolio anche grazie alla guerra russa – ma soprattutto grazie a una gestione familistica di un’economia da sempre ostaggio del clan di famiglia – la “Lacrima dell’Oceano indiano” si è ritrovata quest’anno coperta da debiti insolvibili: circa 50 miliardi di dollari. Esattamente un anno fa, secondo dati del Department of External Resources locale, il debito estero totale in essere del governo era di 35,1 miliardi di dollari e i pagamenti totali del servizio del debito dal 1 gennaio al 30 aprile 2021 erano stati pari a 981 milioni. Si comprende bene che l’aumento esponenziale del servizio del debito e la necessità di altri prestiti per far marciare l’economia hanno portato in un anno il Paese al collasso.

Un baratro a cui una nazione alla fame ha risposto con la richiesta di dimissioni della potente famiglia che, oltre al capo dello Stato e al premier, contava anche diversi ministri. Ora il primo dei due Rajapaksa ha dovuto chinare una testa su cui, oltre alla crisi, pesa adesso anche il numero delle vittime della protesta di ieri. Una protesta che non accenna a calmarsi.

* Fonte/autore: Emanuele Giordana, il manifesto[1]

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