Ciò che distingue una democrazia compiuta da un regime totalitario è anche dato dal modello penale e processuale scelto. L’Egitto di Al Sisi, con il cinismo tipico di chi gestisce autoritariamente il potere, si è incuneato nel nostro sistema di garanzie così impedendo ai giudici italiani di procedere nei confronti dei presunti assassini di Giulio Regeni.

Quanto accaduto finora, nonché la decisione della Corte di Cassazione, dovrebbe interrogarci sul fallimento colpevole di una politica italiana che è stata del tutto incapace di costringere le autorità egiziane a fornire una seppur minima cooperazione giudiziaria. La scelta dei nostri governi, che si sono succeduti dal 2016 a oggi, di tenere basso il livello della conflittualità con il governo egiziano e di tenere invece alto il livello degli affari economici e degli accordi militari, è stata fatta consapevolmente sacrificando ogni chance di giustizia e ricostruzione della verità. La giustizia, soprattutto quando passa dal rapporto tra Stati, si nutre di scelte politiche. Non è una questione meramente tecnica. La nostra è stata una politica che, a volte esplicitamente altre silenziosamente, ha ritenuto che realismo politico e diritti umani non potessero convergere. C’è una mappa interattiva sul sito dell’Unione Europea che elenca i Paesi sanzionati con misure economiche e finanziarie dalla Ue.

Vi compaiono vari paesi africani ma non c’è traccia dell’Egitto. Quindi per i governi europei e per quello italiano l’Egitto non è un problema. Notizie di poco più di un anno fa parlavano di commesse di armi dall’Italia verso l’Egitto fino a quasi un miliardo di euro. Una cifra enorme. Un guadagno immorale altrettanto enorme. Nelle scorse settimane, dopo l’attacco russo all’Ucraina, in Parlamento è stato addirittura avviato il discorso di un aumento della produzione di armi rispetto al Pil, come se ci fosse un collegamento con la guerra in corso. Le armi, si sappia, una volta prodotte vengono vendute in giro per il mondo, anche a regimi, come quello di Al Sisi, che fanno carta straccia dei diritti umani. Dunque, il cinismo egiziano si sovrappone al cinismo italiano.

La mancata giustizia per la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni trova una risposta in questo doppio cinismo. Negli anni più volte abbiamo sentito raccontare la solita litania, ossia che per ottenere cooperazione giudiziaria dall’Egitto bisognava esserne buoni amici. Non è stato così. Non ci hanno neanche aiutati a trovare l’indirizzo degli imputati accusati dai bravissimi pubblici ministeri romani, facendo così sberleffi dei nostri giudici e delle nostre garanzie.

* Fonte/autore: Patrizio Gonnella, il manifesto[1]