Fine dell’austerità in Grecia, ma i danni continuano

Fine dell’austerità in Grecia, ma i danni continuano

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Una storia politica europea che si può ripetere: costata tasse insostenibili, tagli a salari e pensioni, all’istruzione pubblica e alla sanità

 

L’austerità in Grecia sarebbe finita ufficialmente ieri, i danni dureranno per anni. Uno dei casi più scandalosi di violenza politica ed economica ai danni di una popolazione, causato prima dalla corruzione delle classi dominanti e poi dalla repressione finanziaria contro il governo di sinistra guidato da Syriza, è stato archiviato con la fine della «sorveglianza rafforzata», il programma che ha imposto l’osservanza di una politica di austerità. Per ottenere dall’Unione Europea le risorse necessarie alla sopravvivenza stessa del paese, evitare il default e l’uscita dall’Eurozona, Atene ha dovuto sottoporre l’andamento della propria economia al controllo e al raggiungimento degli obiettivi imposti dai «Memorandum». In cambio alla Grecia sono stati destinata, in maniera complessiva, prestiti pari a 241,6 miliardi di euro nel periodo 2010-2018 che hanno portato anche «tasse insopportabili e tagli a salari e pensioni, controlli bancari e ipotecari sui beni pubblici, il declassamento della difesa nazionale, dell’istruzione pubblica e della sanità, nonché l’emarginazione della posizione in Europa e nel mondo» ha ricordato ieri l’attuale primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis. Nella lingua di legno dei burocrati di Bruxelles i sacrifici imposti ai greci sono stati definiti ieri dalla presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen come «resilienza». Ora il Paese puo’ chiudere questo capitolo e guardare al futuro con fiducia. Il Commissario Ue all’Economia Gentiloni ha ricordato che la crisi greca a detta di tanti osservatori avrebbe potuto risolversi «con una maggiore solidarietà da parte degli Stati membri». Che non c’è stata.
Nel 2015, l’ex primo ministro Alexis Tsipras indisse un referendum per decidere se la Grecia dovesse accettare le condizioni imposte dai creditori. Sebbene il «no» abbia prevalso nel referendum, il governo scelse di continuare a imporre le condizioni.

* Fonte/autore: Mario Pierro, il manifesto



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