La CIA uccide Al-Zawahiri, capo carismatico della jihad globale

by Alberto Negri * | 3 Agosto 2022 10:37

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ALLE ORIGINI DI AL QAEDA. Il duo Bin Laden-Zawahiri, l’uomo immagine e la mente, dietro il boom della rete nata intorno alla resistenza mujahideen all’Urss con il sostegno della Cia. Dall’11 settembre 2001 alle necessità di appoggiarsi ai complici talebani e pakistani

 

Con i droni gli Usa hanno ucciso il capo di al Qaeda esibendo efficienza anti-terroristica ma la fuga di Stati uniti e Nato da Kabul nel 2021 dimostra, a sua volta, il ventennale fallimento strategico americano di volere imporre all’Afghanistan un cambiamento che esisteva in gran parte solo nella propaganda occidentale. Ma qui c’è di più: la strumentalizzazione del jihadismo.

L’uccisione di al Zawahiri, come quella di Osama bin Laden ad Abottabad in Pakistan nel 2011, sono legate da un consistente filo rosso che precede gli attentati dell’11 settembre 2001 di New York e Washington: loro due, come molti altri jihadisti, erano gli alleati degli americani nella guerra contro l’Unione sovietica in Afghanistan negli anni Ottanta.

IL RACCONTO di come andarono le cose lo pubblicai sul Sole 24 Ore intervistando a Kabul, dopo la caduta dei talebani nel 2001, Wahid Mozadah, l’ex vice ministro degli esteri talebano che aveva vissuto con loro in Pakistan, per altro sotto gli occhi attenti della Cia interessata a muovere tutte le pedine che potevano contribuire a colpire i sovietici e il regime filo-russo di Kabul.

«Osama bin Laden e Ayman al Zawahiri, erano inseparabili, dove trovavi uno c’era anche l’altro – mi raccontò Mozdah – A Peshawar, negli anni Ottanta, noi mujaheddin afghani abitavamo nella stessa casa con alcuni gruppi di guerriglieri della Legione araba organizzati e foraggiati da Bin Laden e Zawahiri. Ma il loro riferimento ideologico era l’imam Abdallah Yusuf Azzam, un palestinese che Osama aveva conosciuto in Arabia saudita e si era impegnato a reclutare militanti».

Al Qaeda, la «Base», nacque così, sotto l’ala dello sceicco Azzam mentre l’Armata rossa stava per ritirarsi sotto i colpi di una disfatta cominciata con l’invasione del dicembre 1979. Il triumvirato iniziale di al Qaeda fu però di breve durata: nel 1989 Azzam venne ucciso a Peshawar in un devastante attentato dinamitardo. In sua memoria Bin Laden e Zawahiri decisero di chiamare uno dei primi gruppi di militanti di al Qaeda «Brigate al Azzam».

AL ZAWAHIRI, più anziano di Bin Laden, aveva già una lunga militanza nell’Islam radicale che lo faceva apparire agli occhi di Osama il compagno ideale per dirigere l’organizzazione. Già alcuni anni fa lo studioso francese Gilles Kepel sosteneva che Zawahiri era la vera «mente strategica» di al Qaeda mentre Osama veniva considerato «l’uomo immagine», la figura simbolica e carismatica, il volto popolare del terrorismo che a quel tempo sollevava consensi anche tra le masse arabe e non solo tra i militanti della Jihad.

Durante la rivolta di Piazza Tahrir del 2011 contro Mubarak uno Fratello musulmano mi indicò sulle rive del Nilo una casa appartenuta agli Zawahiri, famiglia molto conosciuta: il nonno era stato imam ad Al Azhar, il centro del sunnismo mondiale, e il padre negli anni Sessanta era un noto esponente islamico.

Ayman era cresciuto in ambiente intellettuale di militanti e a 15 anni, mentre Nasser impiccava l’ideologo del jihad Al Qutb, si era affiliato ai Fratelli musulmani partecipando, dopo la laurea in medicina, a vari complotti anti-governativi. Anche a quello in cui nel 1981 venne ucciso il presidente Sadat: al Zawahiri fu arrestato, torturato ma rilasciato dopo pochi mesi facendo alcuni nomi dei complottisti: questo, secondo il suo avvocato del Cairo, fu il vero motivo che lo spinse a prendere la via dell’esilio in Afghanistan.

La sua successione dentro al Qaeda dopo la fine di Osama appariva scontata ma allora i giornali di tutto il mondo si erano lanciati in ardite speculazioni sul fatto che il medico potesse essere accantonato a favore di qualche altro candidato più vicino alla nuova generazione di militanti. La realtà era che Al Qaeda è diventata nel tempo e con la concorrenza del «califfato» un’organizzazione sempre più dipendente dai suoi ospiti, afghani e pakistani.

UN TEMPO era il Mullah Omar che contava sulle donazioni di Bin Laden per riempire una cassa di metallo con i contanti che teneva sotto la branda, poi sono stati i capi di Al Qaeda che per proteggere la latitanza hanno dovuto appoggiarsi ai talebani e alla rete di complicità in Pakistan, in particolare al network della famiglia Haqqani di cui Zawahiri era ospite a Kabul. Al Zawahiri, in un certo senso, era un leader molto più vulnerabile di un tempo, anche se forse non meno pericoloso.

Il filo rosso tra americani e jihadismo in Afghanistan lo avevamo seguito per trent’anni. In un articolo su Limes del marzo 1994 scrivevo di Bin Laden, del ruolo della Cia e dei collegamenti con i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Bosnia. E del primo attentato alle Torri Gemelle del ’93: era l’11 settembre prima dell’11 settembre.

Oggi si cercano di vendere come novità cose di cui si scriveva decenni fa. Il filo di quella storia si rintraccia nel libro Le altissime torri. Come al Qaeda giunse all’11 settembre di Lawrence Wright (Adelphi) e nel lavoro sul campo di Robert Fisk. «Quando sarà riscritta la storia della resistenza afghana – affermava sull’Independent del 6 dicembre ‘93 Fisk introducendo un’intervista a Bin Laden – bisognerà assegnare un ruolo di primo piano a questo uomo d’affari e al medico egiziano al Zawahiri, sia per il loro contributo alla guerriglia anti-sovietica che per la parte avuta nelle recenti vicende del fondamentalismo islamico». Robert, come spesso accadeva, ci aveva visto lungo.

* Fonte/autore: Alberto Negri, il manifesto[1]

 

ph by Hamid Mir, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

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