Brasile al ballottaggio: Amazzonia, ecocidio autorizzato o bene comune globale
Congresso mai così polarizzato: parlamentari “verdi” e indigeni contro la destra legata all’estrattivimo selvaggio e ai filo-fazenderos. Le promesse di Lula in caso di elezione
Secondo l’antropologo indigenista e documentarista franco-brasileiro Vincent Carelli, realizzatore della Trilogia do Martírio presentata in questi giorni al Doclisboa, «nella sua campagna Lula non può esporsi troppo sulla questione Amazzonia, ma la questione Amazzonia potrebbe divenire, se eletto, l’elemento che gli permetterà di tornare ad essere o cara – la personalità, come era stato definito da Obama al G20 del 2009 – a livello internazionale», facendo leva sul fatto che l’Amazzonia è quello che si potrebbe dire un bene comune globale. Se ci fosse il ritorno di questa centralità, la situazione disperata in cui si trova da quattro anni questo territorio, con tutte le forme di vita in esso incluse, potrebbe invertirsi con la possibilità di ricevere ingenti investimenti internazionali. Da una parte è quello che ci si augura, dall’altra è una prospettiva spaventosa. I grandi investimenti internazionali raramente sono mossi da uno spirito benefattore. In ogni caso è necessario che questo massacro venga fermato.
Da quattro anni in Brasile il presidente e il suo entourage di fedeli portano avanti un discorso pro-garimpo attraverso il rinforzo delle attività estrattive illegali, fuori controllo, contro ogni diritto umano e internazionale, favorito dai tagli sistematici dei fondi destinati alla ispezione ambientale. Il tutto accompagnato da un violento smantellamento degli organi predisposti alla tutela delle regioni e popolazioni indigene. Secondo Luísa Molina, antropologa e consulente presso l’ISA (Instituto Socioambiental) «dal 1988 non c’era più stato in Amazzonia un momento in cui l’estrazione mineraria, come progetto politico e attività economica, si sia manifestata in forma tanto violenta ed esplicita».
Come dimostrato dai risultati del 2 ottobre le elezioni di quest’anno mostrano un’alta presenza di candidati legati alle attività estrattive e che, in alcuni casi, difendono la legalizzazione dell’attività estrattiva come bandiera elettorale. Dei dieci municipi che hanno registrato il maggiore disboscamento tra il 2019 e il 2021, nove hanno aumentato il numero di voti per Bolsonaro, rispetto al 2018. Al Nord, i voti per Bolsonaro sono aumentati da 3,7 milioni del primo turno nel 2018 ai 4,3 milioni del 2022. In Roraima Bolsonaro ha avuto il 69,57% dei voti. Un altro dato rilevante è che dei 28.000 candidati a queste elezioni, 3.482 hanno dichiarato beni milionari.
Secondo Arthur Fisch, ricercatore presso il Centro de Política e Economia do Setor Público della FGV-SP, «anche in tempi di campagne sui social network il denaro è un fattore importante, ne è prova il fatto che il fondo elettorale è più che raddoppiato dal 2018». I candidati che dispongono di un proprio patrimonio partono avvantaggiati perché non dipendono dal partito o da altre fonti di entrate, si autofinanziano e, una volta eletti, presentano i propri disegni di legge. Quelli presentati dal deputato Joaquim Passarinho (PL-PA) – eletto con 122.553 voti – autorizza le aziende ad acquistare oro direttamente dal settore minerario (PL6432/2019); quello del deputato José Medeiros (PL-MT) – il 3° più votato nel Mato Grosso- trasferisce al Presidente della Repubblica il potere di autorizzare l’attività estrattiva nelle terre indigene e nelle altre aree protette (PL571/2022).
Non mancano candidati che difendendo la liberazione dell’attività mineraria si presentano come difensori degli interessi indigeni. È il caso di Rodrigo Mello (PL-RR), secondo il quale «la stragrande maggioranza degli indigeni vuole sviluppo, agricoltura, allevamento, vuole estrarre. Cercheremo questa regolarizzazione affinché gli indigeni possano svolgere la loro attività economica nelle loro terre». Mello è il perfetto esempio del populismo sostenitore dell’attuale governo brasiliano, che inneggia al patriottismo sempre vestito in verde e giallo, i colori del Brasile, ma è stato incriminato dalla Polizia Federale per aver usurpato beni dell’Unione: oro e cassiterite della terra indigena yanomami.
È infatti ora il momento della cassiterite, metallo la cui domanda cresce sempre più. È ovunque: nelle lattine per alimenti, nelle finiture delle automobili, nella fabbricazione del vetro, sugli schermi dei cellulari. Per questo il suo valore ha subito un forte aumento sul mercato internazionale contribuendo all’aggravarsi dell’invasione illegale nelle terre indigene yanomami. Certamente la questione amazzonica riguarda tutti, non sono solo Apple e Microsoft, o i superserver di Google e Amazon.
Dopo il primo turno, è evidente che questo ecocidio trova ampio consenso tra gli elettori brasiliani. Molti dei governatori e membri del Congresso che hanno ricevuto il maggior numero di voti difende l’espansione agricola e la creazione di milizie armate nelle campagne. «Tutto in nome di Dio, ovviamente». Per questo l’elezione di Lula diviene vitale. Al di là delle promesse del leader del Pt che ad aprile ha dichiarato che – se eletto – avrebbe creato il Ministero dei Popoli Indigeni guidato da un indigeno e l’avvio del “Giorno della Revoca” per abrogare le decisioni prese durante l’amministrazione del presidente Jair Bolsonaro, Lula insiste nel dichiarare la sua opposizione alle attività estrattive in terre indigene, al disboscamento in Amazzonia, alla produzione estensiva di soia, così come canna da zucchero o mais nel bioma del territorio nazionale della Amazzonia, Pantanal e Cerrado. Arriva addirittura ad affermare che ‘mantenere in piedi un albero è in Brasile ora tanto, se non più, importante che allevare una vacca’. Alle orecchie dei fazenderos brasiliani, per cui la vacca è sacra quanto, se non più, che in India, non sono parole accettabili. Per questo che l’imponente presenza indigena tra i candidati è altrettanto vitale nel possibile futuro governo.
Ma, prima ancora del risultato che uscirà oggi dal ballottaggio, è importante sottolineare l’importanza di alcuni traguardi raggiunti. 81 parlamentari “verdi”, che rappresentano poco più del 15% del totale dei seggi alla Camera dei Deputati sono stati eletti nella prima tornata. Degli 81 candidati del 2018, 65 sono stati riconfermati. Oltre al numero record di candidati indigeni, 182 di diversi partiti e correnti ideologiche, in particolare donne.
Al Congresso ci saranno nomi importanti per la storia di lotte e resistenze, come l’ex ministra dell’Ambiente Marina Silva (Rede). Inoltre nove candidati indigeni sono riusciti a farsi eleggere in diverse posizioni a Brasilia e quattro parteciperanno al nuovo schieramento verde della Camera federale. Márcio Santilli, uno dei fondatori dell’Instituto Socioambiental (ISA), fa notare come l’aula sarà polarizzata: da una parte Marina Silva, responsabile della più grande riduzione della deforestazione nella storia dell’Amazzonia durante il governo Lula, dall’altra Ricardo Salles, responsabile sotto il governo Bolsonaro dello smantellamento delle politiche ambientali fino ad allora esistite. Cosa che sicuramente scalderà il dibattito su questa agenda.
In scala internazionale, se si arriverà a un punto in cui la foresta, così degradata, perderà la sua capacità di rigenerarsi, le opzioni globali per combattere il cambiamento climatico diventeranno ancora più inconsistenti. Solo l’elezione di Lula farà si che l’Amazzonia diventi il tema principale in ambito internazionale per il Brasile, occupando ampio spazio nei dibattiti al Congresso e, quindi, nel dibattito pubblico locale, ma anche internazionale.
* Fonte/autore: Laura Burocco, il manifesto
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