I FERROVIERI sono l’ennesimo settore strategico in mobilitazione, dopo gli operai delle raffinerie Total in sciopero da tre settimane. Davanti e dietro, sfilavano le sezioni Cgt dell’istruzione pubblica, dei servizi, della sanità, poi gli studenti: tutti uniti dalla rivendicazione di aumenti salariali generalizzati, per far fronte all’inflazione e alla crisi energetica.

«Vogliamo una remunerazione giusta, noi operai delle ferrovie in busta paga prendiamo poco più del salario minimo e per avere un salario onesto dobbiamo fare le notti e i weekend, e con l’inflazione è semplicemente una discesa agli inferi», ha detto Christophe Roya, delegato Cgt del settore Parigi-Est. «Vogliamo l’aumento, vogliamo il salario minimo a 2.000 euro netti, per vivere e non solo sopravvivere». Nel suo settore, circa il 25% dei lavoratori ha scioperato, sull’onda degli scioperi agli impianti Total. «Oggi è solo l’inizio, bisogna preparare la battaglia per la redistribuzione della ricchezza, imporla al governo come stanno facendo i camarades alle raffinerie».

DA ORMAI TRE SETTIMANE, gli operai delle raffinerie e dei depositi Total sono in sciopero per un aumento del 10% dei salari: 7% per compensare l’inflazione, 3% per la redistribuzione della ricchezza. Una misura di giustizia sociale per la Cgt, di fronte a un’azienda che ha realizzato dei benefici record nel primo semestre 2022 (10 miliardi di dollari) e un ad che ha visto il proprio stipendio aumentare di più del 50% (da 3.9 a 5.9 milioni di euro).

Il blocco delle consegne del carburante imposto dai picchetti ha provocato il razionamento della benzina, con annesse code chilometriche ai distributori. Una situazione che si è presto avvitata in crisi politica e d’immagine per il governo di Elizabeth Borne, che ha scelto di ricorrere alla precettazione manu militari per sbloccare alcuni siti produttivi, con scene di poliziotti che si sono presentati ai domicili degli operai per forzare i blocchi dei lavoratori.

LA STRATEGIA del governo ha infuocato gli animi, tant’è che nel corteo parigino, fioccavano cartelli e slogan in onore dei lavoratori delle raffinerie. «C’è un clima, una rabbia, che quei compagni simbolizzano oggi, ma che riguarda tutti quanti», ha detto Jean Vilaca, delegato Cgt e da 30 anni operaio alle presse a Peugeot. «Questo è solo l’inizio, tutti sentono e sanno che i prezzi aumenteranno ancora, di due o magari tre volte, mentre le nostre aziende s’ingozzano di profitti, è ora di distribuire, e non dei premi una tantum, vogliamo l’aumento del salario, un aumento consistente».

PIÙ SALARIO, aumento del salario minimo, scala mobile sull’inflazione: tutti argomenti ripresi dal segretario della Cgt Philippe Martinez, che in mattinata aveva dichiarato ai media francesi che «il governo potrebbe risolvere la situazione in dieci minuti, se lo volesse… La questione è la volontà politica di ridistribuire la ricchezza. Non è normale che i lavoratori di Total non vedano un centesimo dei superprofitti realizzati dalla loro azienda».

Secondo Martinez, «il governo non ha preso sul serio la mobilitazione nelle raffinerie», pensando di poterla gestire con l’ausilio della polizia e «minimizzando la collera dei lavoratori». E se l’ondata di scioperi per ora non è ancora marea, essa minaccia seriamente il calendario del governo Macron, che non è riuscito ad assicurarsi la maggioranza assoluta in parlamento alle elezioni di questa estate. Oggi, la legge di bilancio verrà approvata molto probabilmente con il ricorso al famigerato «49.3», l’articolo della Costituzione che consente al governo di azzerare il dibattito parlamentare e considerare una legge approvata, salvo mozione di sfiducia alla Camera.

È LA PRIMA VOLTA dal 1989 che tale extrema ratio viene applicata a una legge di bilancio. Sebbene non dovrebbero esserci sorprese, visto che la France Insoumise non voterà la mozione di sfiducia dell’estrema di destra di Le Pen, e viceversa, l’utilizzo del 49.3 e la crisi degli scioperi a Total e nel paese annunciano giorni complicati per Macron, che ha promesso l’approvazione della riforma delle pensioni nel 2023. Contro questa riforma, prima del Covid, i sindacati avevano dato battaglia bloccando il paese per mesi, costringendo alla fine il governo a rimettere nel cassetto il disegno di legge.

* Fonte/autore: Filippo Ortona, il manifesto