Joe Biden scarcera la marijuana negli Stati Uniti

Joe Biden scarcera la marijuana negli Stati Uniti

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Un’amnistia pre-elettorale che accende lo scontro politico, destre all’attacco ma il presidente – che ha rivisto le sue posizioni degli anni ’90 – ci crede: «Nessuno dovrebbe rimanere in carcere per il solo uso o la detenzione di cannabis, parliamo di qualcosa che è già legale in molti stati Usa»

 

L’amnistia proclamata da Biden ha l’effetto immediato di estinguere le pene e ripulire le fedine penali di circa 6500 persone condannate per reati di «semplice detenzione» di cannabis.

Il decreto esecutivo interessa per ora chi ha ricevuto la condanna in sede federale, una esigua minoranza rispetto ai milioni di condannati dai sistemi penali dei singoli stati. Quelli per detenzione di marijuana equivalgono a più della metà di tutti gli arresti per stupefacenti (circa 29 milioni dal 1965).

Il paradosso attuale è che centinaia di migliaia rimangono in carcere per un attività che è libera nella maggior parte degli stati. «Come ho sostenuto sin dalla mia campagna elettorale – ha dichiarato il presidente- parliamo di qualcosa che è ormai considerato legale in molti stati. Nessuno dovrebbe rimanere in carcere per il solo uso o la detenzione di marijuana».

ALLO STATO ATTUALE 38 stati consentono l’uso di cannabis e derivati a scopo terapeutico, in 19 è legale l’uso ricreativo di marijuana (altri 5 voteranno sulla legalizzazione in referendum accorpati ai midterm di novembre). Alla normalizzazione di fatto corrisponde la rigidità degli statuti federali che fermi alla «war on drugs» di cinquant’anni fa classificano erba e derivati alla stregua di droghe pesanti come eroina e fentanil. Çosì mentre nella maggior parte del paese il mercato legale sviluppa ormai affari per 25 miliardi di dollari e in molte città prodotti di cannabis si comprano in boutique simili ad Apple store (o con comodo recapito a domicilio) le grandi aziende di settore non possono ancora utilizzare le reti bancarie o assicurative che dipendono da licenze federali.

L’azione di Biden rappresenta quindi un grande passo verso la decriminalizzazione che attivisti – insieme a un crescente comparto industriale – chiedono da tempo. È un’inversione di tendenza importante soprattutto per la potenziale rimozione della marijuana dalla famigerata tabella 1 degli stupefacenti. La riclassificazione auspicata dal presidente (che ha anche chiesto ai governatori di tutti gli stati di seguire il suo esempio) aprirebbe a una riforma integrale e all’eventuale definitiva legalizzazione.

LA DECISIONE DI BIDEN, acclamata dagli attivisti che da tempo la reclamavano, è sicuramente collegata alle manovre pre elettorali. Una misura, come già il mese scorso il colpo di spugna sul ripagamento dei debiti studenteschi, mirata a un elettorato giovanile portato all’assenteismo e di cui il Partito democratico ha disperato bisogno.

E come tale il decreto è stato immediatamente aspramente attaccato dai Repubblicani fautori semmai dell’inasprimento delle pene e di una generale allarmismo sulla «criminalità dilagante». Uno scontro politico in cui Biden si è trovato ancora una volta a rivestire i panni di propulsore progressista in netta controtendenza con gli “stati rossi” e con la corrente neo reazionaria che spinge per la restaurazione trumpista.

Un altro elemento che potrebbe aver influito sulla decisione è il caso di Brittney Griner, l’atleta americana detenuta in Russia per detenzione di olio di Thc e la cui liberazione è reclamata dalla Casa bianca.

COME QUASI TUTTI I GRANDI TEMI politici negli Stati uniti, la questione si carica inevitabilmente anche dei riflessi razziali che investono gli equilibri sociali del paese. «I precedenti penali di questo tipo – ha detto Biden – comportano barriere riguardanti lavoro, alloggio e istruzione, senza contare le iniquità razziali fra chi ne soffre le conseguenze».

Il riferimento è alla statistica secondo cui gli afroamericani ricevono condanne per cannabis a un tasso quattro volte superiore rispetto a quello dei cittadini bianchi. Il decreto ha un impatto notevole, quindi, soprattutto per come altera il giustizialismo punitivo che è cifra base della politica e del sistema giudiziario Usa.

SI TRATTA DI UN’INVERSIONE di tendenza macroscopica per un politico come Biden che negli anni 90, con Clinton, era stato fautore della riforma giudiziaria cui molti imputano la carcerazione di massa e in particolare di milioni di neri, ispanici e poveri nel complesso carcerario-industriale di un paese che detiene oggi un quarto dei prigionieri di tutto il mondo.

Mentre le azioni di Biden hanno ricevuto il plauso generale del settore, negli stati “permissivi” la legalizzazione non ha posto termine a tutte le problematiche. Una recente inchiesta del Los Angeles Times ha rivelato che nelle principali zone di produzione, le coltivazioni che forniscono il mercato legale rimangono comunque spesso in mano a una criminalità organizzata che a scapito dei piccoli produttori in regola monopolizzano operazioni caratterizzate da violenze, sfruttamento di manodopera ed enormi danni ambientali.

* Fonte/autore: Luca Celada, il manifesto



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