Era rimasto l’unico contendente alla leadership dei conservatori tolta Penny Mordaunt – la cui anemica candidatura è stata un proforma – e soprattutto dopo il ritiro di Boris Johnson. Che alla prospettiva di una propria risurrezione politica, lo scorso fine settimana, aveva precipitosamente abbandonato le spiagge tropicali dove si isolava in frugale raccoglimento, convinto di poter racimolare il centinaio di consensi parlamentari necessari per sfidare Sunak secondo l’oligarchica prassi elettiva del partito conservatore. Solo per chiamarsi fuori all’ultimo momento, ufficialmente perché il partito è troppo diviso e non sono riuscito a mettermi d’accordo con i miei rivali, più verosimilmente perché non ero sicuro di avere il quorum per giocarmela con Dishi (sexy) Rishi (in tal guisa apostrofato in ambienti Tory vista l’aitanza). Che notoriamente ora detesta, per essere stato quello che ne ha provocato la caduta.

ALLA NOTIZIA che Johnson mollava, faceva eco un eloquente recupero della sterlina: i Tories non sono evidentemente più quelli di una volta e gli investitori investono più serenamente con uno di loro a Downing Street. Ma niente paura, Johnson tornerà: un altro paio di libri su Churchill e magari Disraeli, qualche milione racimolato col tassametro nel circuito delle conferenze e lo ritroveremo di certo alle prossime elezioni, all’inizio del 2025. Nonostante le reclamino a gran voce le opposizioni, Sunak non andrà mai anticipatamente alle urne, dal momento che una vittoria Tory sembra assai improbabile: soprattutto quando il Labour del legnoso Starmer, de-meritocraticamente, si ritrova trenta punti avanti nei sondaggi. Da Starmer è ovviamente inutile aspettarsi una politica economica chissà quanto dissimile da quella in procinto di essere inflitta al paese: per convincere il business di aver estirpato a fondo l’eresia corbyiniana deve ingraziarselo a tutti i costi con lobbying e promesse di “realismo”.

AVANTI IL PROSSIMO dunque, e a passo di corsa. Ora tocca al ripescato Sunak, brexittiere della prima ora la cui ascesa altrettanto de-meritocratica deve tutto – appunto – alla prima ministra dimissionaria, una ex-remainer che lo aveva battuto abbastanza sonoramente all’ultima tornata dell’iter elettivo. E ora ricomincia la coreografia già percorsa tre volte negli ultimi mesi: Truss salirà dal nuovo padrone di castello Charles the Third che, sollevato, ne riceverà le dimissioni per poi invitare Sunak a formare un governo. Ma il partito resta spaccato fra gli irriducibili johnsoniani, che ancora gridano al tradimento, e quelli che a malincuore hanno capito che la seconda serie di “Boris” sarebbe stata troppo per il paese. Bisogna anche vedere come evolvono le sue vicissitudini penali, visto che è ancora sotto inchiesta per le violazioni succitate.

SUNAK SI ERA AUTORITRATTO come uno serio e affidabile con i conti pubblici, meno con i propri. È accusato di elusione fiscale, e la sua milionaria moglie non pagava le tasse in Uk (“Paperoni” li chiamano, ma sono solo dei Rockerduck). Da lui è lecito aspettarsi un’ondata di tagli ai servizi pubblici e di ritorno dell’austerity, la stessa dei tempi di David Cameron e George Osborne. L’inflazione è oltre il 10%, il paese in recessione. Con la sua manovrina infernale Truss aveva scontentato tutti i referenti del suo partito: i mercati finanziari, la Banca d’Inghilterra, perfino il Fmi. Quei tagli alle tasse per i ricchi erano in leggero conflitto con l’impennata del costo del denaro varata dalla Fed in chiave anti-inflattiva, ergo la dipendenza dello Stato dal credito dei mercati finanziari e dunque dall’aumento del debito. Sunak per ora farà il “responsabile”, alzando le tasse e soprattutto tagliando a sangue nel pubblico. I regalini ai molto abbienti verranno dopo semmai: un thatcherismo “responsabile” opposto a quello caciarone e “libertario” di Truss & Co.

CI SI SDILINQUISCE sul progresso civile di non aver un bianco cristiano al vertice del paese: andrebbe notato che i Tories da tempo mandano avanti in ruoli “scomodi” degli estremisti di destra, che siano donne o di origine non europea: a deportare migranti, a impedire il dibattito sul colonialismo. Del resto, l’immigrazione, il diritto all’aborto o le famiglie arcobaleno si combattono meglio con discendenti di migranti, donne, gay. Una mossa paracula per mischiare le carte nel dibattito identitario, e che non succede solo in Uk. La parità viene così oscenamente camuffata come un concetto di destra. Ma dimostra anche che esiste solo la classe

* Fonte/autore: Leonardo Clausi, il manifesto