Domenica la Polícia Rodoviária Federal aveva organizzato blocchi stradali ai mezzi pubblici che portavano gli elettori ai seggi. E «alle auto che esibivano un adesivo pro-Lula», secondo quanto ha denunciato il senatore del Pt Otto Alencar. Più della metà dei controlli si sono svolti proprio nel nord-est lulista. Una misura che contravveniva un ordine specifico del tribunale elettorale, che infatti ha convocato il comandante della Rodoviária, sostenitore di Bolsonaro.

BLOCCHI STRADALI A PARTE, le operazioni di voto si svolgono con relativa tranquillità: «Il trasporto pubblico è gratuito» ripete una voce dagli altoparlanti della metro di San Paolo, misura adottata per facilitare l’esercizio del voto obbligatorio. Che sembra abbia contribuito a ridurre l’astensionismo, dato in controtendenza rispetto allo storico elettorale tra primo e secondo turno. In giro per la città si incrociano sostenitori di Bolsonaro con la maglietta verde-oro e altri con l’adesivo pro-Lula. Attorno a loro, la maggioranza delle persone si reca al seggio senza simboli, vota e va via.
Col passare del tempo la vittoria si consolida, Lula allarga il vantaggio e alle 19.58 con il 50,9% è ufficialmente dichiarato 39° Presidente del Brasile, l’unico ad essere eletto per tre volte. Centinaia di migliaia di persone si riversano sulla Avenida Paulista, il teatro politico di San Paolo. «Spero torni la normalità, dopo tanta violenza» racconta Lisa. «La bandiera è nostra» grida un gruppo di persone srotolando una gigantesca bandiera verdeoro che occupa tre corsie dell’Avenida.

STANDO IN MEZZO ALLA FOLLA, non si vede né l’inizio né la fine della manifestazione. È un carnevale in anticipo, birre, palloncini, le persone avanzano a passo di samba, chi si urta si chiede scusa. Una coppia di uomini si bacia, un senzatetto steso sul marciapiede sorride e fa il segno della L, simbolo della campagna di Lula.
Lula, dal tetto di un camion parcheggiato nel mezzo della Paulista davanti al Museo MASP, promette che sarà «il Presidente di tutti». E considerati gli ultimi quattro anni, non è una promessa da poco. «Non ci sono due Brasile, è ora di deporre le armi» conclude il presidente eletto, lasciando l’Avenida. La folla rimane a festeggiare. I tifosi del Corinthians dedicano un coro a Neymar: «Adesso devi pagare le tasse», in riferimento ai favori ricevuti dal fisco durante il governo Bolsonaro. I giornalisti stranieri guardano incessantemente gli smartphone, in cerca delle dichiarazioni dello sconfitto. Il quale va a dormire senza proferire parola. E anche lunedì, almeno fino alle 16, Bolsonaro sceglie la linea del silenzio. Molti si chiedono se riconoscerà il risultato, se ci sarà una transizione ordinata.

MENTRE, DA BIDEN A MACRON, da Putin a Xi Jinping, si sommano i riconoscimenti pubblici alla vittoria di Lula, il mondo bolsonarista è insolitamente silenzioso sui social. Nei gruppi Telegram di riferimento circolano fake news su frodi elettorali, ma non hanno molta eco. I bolsonaristi duri e puri, come il deputato influencer Nikolas Ferreria e la deputata Carla Zambelli, che sabato ha inseguito un sostenitore di Lula con una pistola spianata, dicono: «Abbiamo perso la battaglia, non la guerra». Celebrano la crescita del consenso, sette milioni di voti in più rispetto al primo turno, ma riconoscono la sconfitta. Cosa che molti alleati più moderati del presidente sconfitto fanno subito, come il governatore dello stato di San Paolo o il presidente della Camera. Entrambi sanno che dovranno convivere con Lula e non vogliono avventurarsi nel mare sconosciuto della critica alle urne. Anche perché dovrebbero mettere in dubbio la loro stessa vittoria elettorale.
Intanto, da domenica notte, i camionisti organizzano blocchi stradali in undici Stati del paese, bloccando arterie chiave del paese come la Dutra, che collega Rio de Janeiro con San Paolo. Un déjà-vu che ricorda il golpe cileno del 1973.

BOLSONARO, PIÙ PASSA IL TEMPO, più si trova solo e perduto nel labirinto che lui stesso ha creato: «Bolsonaro – spiega Oliver Stuenkel, docente di relazioni internazionali presso la Fundação Getulio Vargas – si è cacciato in una situazione difficile. I suoi principali alleati vogliono che conceda la vittoria, ma questo potrebbe essere visto come un tradimento dai suoi seguaci più fedeli, coloro che non accettano la vittoria di Lula e vogliono che adotti una strategia in stile Trump»

* Fonte/autore: Federico Nastasi, il manifesto