Il Likud di Netanyahu, perciò, sarà il primo partito con 30/31 seggi, seguito da Yesh Atid di Lapid a 24. Benyamin Netanyahu ha battuto un altro record della politica israeliana diventando il primo leader politico a portare a buon fine una seconda rimonta che lo colloca per la terza volta nella carica di premier. Le incriminazioni per corruzione, frode e abuso di potere, non hanno avuto alcun impatto sulle intenzioni di voto degli elettori. E sono risultate errate le previsioni di analisti e commentatori che un anno e mezzo fa avevano scritto necrologi politici sulla fine dell’era di Netanyahu.

I militanti del Likud martedì sera inneggiavano a re Bibi III. I festeggiamenti per la vittoria potrebbero presto essere sostituiti dai postumi della sbornia. La coalizione dei suoi sogni si è concretizzarla e ora Netanyahu deve metterla insieme e guidarla verso la formazione di un governo. Il Likud prevede di avviare presto i negoziati con i partner elettorali – Sionismo religioso (terza forza alla Knesset con 14-15 seggi) e i due partiti religiosi ortodossi – e di formare l’esecutivo il prima possibile. Per re Bibi però non sarà tutto così semplice. Il suo principale alleato, Itamar Ben Gvir, leader di Otzmah Yehudit (Potere ebraico) reclama il ministero della pubblica sicurezza, attraverso il quale mettere in atto una repressione senza precedenti (e senza freni) dei palestinesi sotto occupazione in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Se le organizzazioni pro-Israele in Europa e negli Stati uniti hanno, con poche eccezioni, sdoganato Ben Gvir malgrado le sue idee non è detto che tutti all’estero siano disposti a fare altrettanto. Barak Ravid, giornalista israeliano di Axios ben informato, rivelava ieri di aver appreso da due funzionari americani che l’Amministrazione Biden «è improbabile che si impegni con il politico suprematista ebreo Ben-Gvir se sarà nominato ministro nel nuovo governo israeliano». Ha aggiunto che «La decisione ufficiale non è stata ancora presa ma se l’amministrazione Biden boicotterà Ben-Gvir, ciò segnerà uno sviluppo senza precedenti che avrebbe conseguenze negative per le relazioni Usa-Israele». Rivelazioni prontamente confermate da Washington. Il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price, in un briefing con la stampa ha detto «Ci auguriamo che tutti i funzionari del nuovo governo israeliano continuino a condividere i valori di una società aperta e democratica, inclusi la tolleranza e il rispetto per tutti nella società civile, in particolare per i gruppi minoritari». Non proprio ciò che hanno in mente i leader dell’estrema destra considerati un pericolo per la democrazia.

Un bel problema. Per il premier in pectore non è possibile convincere Ben Gvir a fare un passo indietro in nome dei rapporti con Washington. Senza dimenticare che il capo di Otzmah Yehudit è stato il motore della campagna elettorale della destra e oggi è considerato una figura politica di primo piano da centinaia di migliaia di israeliani che non accetteranno compromessi sulla sua persona. E poi anche il capo dello stato Herzog ha detto a inizio settimana che il risultato delle elezioni israeliane deve essere accettato. Per dare un colpo alla botte e una al cerchio Netanyahu punterà con decisione alla formazione di quel «governo nazionale» che ha evocato in questi giorni, ossia una coalizione allargata ad altre forze non dichiaratamente di destra, per diluire il carattere estremista, religioso, razzista del blocco che lo ha portato di nuovo sulla poltrona più importante del paese. Ma ha già dovuto incassare dei no. Il premier uscente Lapid e il capo della lista Unità nazionale e ministro della difesa, Benny Gantz, hanno comunicato che non intendono entrare in nessun governo con Netanyahu.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto