ASGI: «Naufragio dei bambini, Stato responsabile», impunità per 268 morti

ASGI: «Naufragio dei bambini, Stato responsabile», impunità per 268 morti

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Nell’ottobre 2013 morirono in 268. Reati prescritti ma il giudice riconosce gli elementi per condannare i due ufficiali. Stefano Greco, avvocato di parte civile per Asgi: «L’Italia doveva intervenire appena ricevuto l’Sos, anche se il caso era in Sar maltese e La Valletta aveva assunto il coordinamento»

 

Il 2 dicembre scorso il tribunale collegiale di Roma, presieduto dalla giudice Anna Maria Pazienza, ha dichiarato estinti per intervenuta prescrizione i reati contestati a Luca Licciardi e Leopoldo Manna. L’11 ottobre 2013 erano rispettivamente comandante della sezione operazioni reali correnti di Cincnav, il comando in capo della squadra navale della marina, e responsabile della sala operativa della guardia costiera. Quel giorno alle 17.05, a poche decine di miglia di Lampedusa ma nell’area di ricerca e soccorso (Sar) maltese, si ribaltò un barcone partito dalla Libia. I migranti avevano chiesto aiuto a Roma e La Valletta a partire dalle 12.26.

Nel «naufragio dei bambini» persero la vita moltissime persone, la stima più accreditata dice 268. Tra loro 60 minori. Dopo quella strage iniziò l’operazione Mare Nostrum. Licciardi e Manna sono finiti a processo per omicidio colposo e omissione di atti di ufficio perché quando alle 16.22 Malta, che aveva assunto il coordinamento del caso, chiese l’impiego della nave militare Libra non ordinarono al mezzo di dirigersi immediatamente e a massima velocità verso i migranti. Stefano Greco è uno degli avvocati delle parti civili per l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

Cosa ha stabilito il giudice?

Nonostante sia intervenuta la prescrizione, perché le procure hanno cercato in tutti i modi di bloccare questo processo, il tribunale ha riconosciuto che c’erano gli elementi per condannare i due ufficiali. Sia per omissione di atti di ufficio che per omicidio colposo plurimo, per il ritardo e la causazione del danno. La cosa importante è che la responsabilità è stata riconosciuta al di fuori dell’area Sar e del coordinamento italiani. Il coordinamento, infatti, era stato assunto da Malta. Il giudice ha stabilito che Roma doveva intervenire immediatamente, appena ricevuta le richiesta di aiuto in cui si diceva che il mezzo imbarcava acqua e trasportava dei bambini. Quindi anche prima del fax delle 16.22.

Tra Italia e Malta ci sono spesso rimpalli di responsabilità per i casi Sar. Questa sentenza potrà incidere sulle prassi adottate in mare?

Secondo me incide dal punto di vista italiano. Finora l’Italia si è trincerata dietro al fatto che Malta prendeva il coordinamento. La sentenza afferma invece il principio della collaborazione tra Stati. Un principio fondamentale del diritto internazionale in questa materia perché esiste una responsabilità concorrente tra i Paesi.

Potrà avere effetti anche su altri processi che riguardano i soccorsi nel Mediterraneo?

Sì, ad esempio sullo stabilire quando esiste il distress, cioè quando una barca va considerata in pericolo. Qui c’è un grosso problema: se va in distress un’imbarcazione privata europea partono immediatamente i soccorsi. Se l’Sos viene da un barcone di migranti, invece, marina e guardia costiera italiane, e anche i maltesi, continuano a dire che il pericolo si configura solo quando c’è un rischio imminente per la vita delle persone. Al contrario questa sentenza afferma che vanno realizzate tutta una serie di attività da subito e ricostruisce il soccorso come un unico momento composto da più fasi. Quindi appena arriva la richiesta di aiuto si apre una pagina che deve essere riempita con la raccolta di informazioni e la preparazione dei mezzi che poi realizzeranno il soccorso. Le varie fasi compongono un unico momento procedimentale amministrativo. Questo è fondamentale perché riporta tutte le attività nell’alveo delle responsabilità dello Stato nella gestione della macchina pubblica. Cosa che prima era stata trascurata.

Inizialmente la sentenza era prevista per l’8 novembre scorso. È stata rinviata al 2 dicembre perché uno dei giudici aveva il Covid-19. La prescrizione è intervenuta per questo?

Per fortuna no. Il tribunale afferma che la prescrizione è arrivata a febbraio 2022. Ha ritenuto che due rinvii in Cassazione non potevano essere considerati momenti interruttivi, come noi abbiamo cercato di sostenere. Comunque è importante che il tribunale non si sia sottratto dal dovere di spiegare tutta la vicenda, dopo due anni di lavoro intenso, e che tutti e tre i giudici risultino estensori della sentenza. Significa che è stata condivisa, cosa rara nel nostro panorama.

Perché tra fatti e sentenza di primo grado ci sono voluti nove anni?

Perché si voleva evitare che questo processo si tenesse. C’è stata una prima richiesta di archiviazione della procura di Agrigento rigettata dal Gip, il quale ha stabilito che la competenza fosse di Roma. La procura di Roma ha ricevuto quell’incartamento, insieme a un altro sullo stesso caso che veniva da Palermo, e chiesto per ben due volte l’archiviazione. Il giudice per le indagini preliminari ha rigettato entrambe le richieste. Infine il Gip Giovanni Giorgianni ha disposto un’imputazione coatta che però ha limitato il campo dell’accertamento al periodo successivo al fax delle 16.22. Il pregio della sentenza è di aver esaminato la vicenda nella sua interezza, dalla prima telefonata al naufragio.

In Italia è ancora così difficile portare a processo rappresentanti dello Stato?

Purtroppo sì. Il processo Cucchi lo dimostra, questa vicenda lo dimostra. Ogni volta che lo Stato deve fare i conti con se stesso nasce un problema. E questo non ci fa onore.

* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto



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